Chiesa

NELLE CASE DI MARIA/5. Rosario e carità la forza di Pompei

Giovanni Ruggiero giovedì 30 maggio 2013
La città e il santuario non stanno dentro i loro confini geografici, sotto quel Vesuvio che nel 79 d.C. con il fuoco e la lava distrusse, seppellendole, le case romane. Pompei e la Supplica, questa preghiera particolare, corale e intensa scritta dal beato Bartolo Longo, dal principio, mentre ancora pietra su pietra si ergeva il tempio, prendono le strade del mondo e varcano gli oceani.Quel giovane avvocato, che aveva cominciato a seminare l’amore per la preghiera tra i contadini di quella valle, si recava al porto di Napoli da dove partivano quei bastimenti pe’ terre assaje luntane e donava agli emigranti un’immagine della Madonna o una corona del Rosario. La Madonna viaggia con loro, nelle valigie di cartone, culla le loro speranze e arriva negli Stati Uniti e nell’America Latina. La Madonna li accompagna, e in breve la preghiera gira per il mondo. Con la Supplica, che si recita l’8 maggio e la prima domenica di ottobre sul sagrato del santuario quando il tempo è spesso clemente e il sole generoso lo consente, Pompei resta il luogo simbolo della preghiera mariana. Il Rosario è il suo segreto, dirà Benedetto XVI, quando verrà qui e si inginocchierà davanti all’immagine miracolosa, perché «il Rosario è vincolo spirituale con Maria per rimanere uniti a Gesù. È arma spirituale nella lotta contro il male».Il tempio che Bartolo Longo vedrà sorgere, fidando sulla Provvidenza di Dio, è la materializzazione di una chiamata, quando gli parve che una voce gli dicesse: «Se cerchi la salvezza, propaga il Rosario. Chi propaga il Rosario è salvo». Era per lui una certezza, la stessa che nutrono i fedeli che a migliaia ogni anni vengono a Pompei per la Supplica. «La preghiera – diceva il beato Longo – è l’orbita in cui l’umanità compie il suo movimento intorno al suo centro di attrazione che è Dio. Una umanità senza preghiera sarebbe umanità che uscirebbe fuori dalla sua orbita».Una fetta di questa umanità ha l’appuntamento due volte all’anno qui per l’Ora del Mondo, come il beato definiva questa <+corsivo>Supplica<+tondo> umile e semplice che racchiude in sé tutti i mali e le speranze del mondo. «Il Rosario – dice il prelato del santuario, l’arcivescovo Tommaso Caputo – è la vera forza di Pompei. Ed è commuovente vedere con quale fede tante persone, anche giovani, recitano il Rosario, questa preghiera antica e sempre nuova, è preghiera dalla fisionomia mariana e dal cuore cristologico secondo la bella espressione del beato Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae. Qui a Pompei apprendiamo che il Rosario è una pedagogia inventata da Maria, con il suo amore di Madre, per aiutarci a conoscere Gesù». Pompei è palestra di preghiera. Ed è un bisogno particolare che spinge qui, prima ancora della richiesta di una grazia. «L’uomo e la donna del tempo post moderno – dice ancora monsignor Caputo – hanno bisogno di respirare a pieni polmoni il buon profumo di Cristo per disintossicarsi, ritemprarsi e ossigenarsi della genuina bellezza e bontà del Mistero. Questa preghiera, che è la vera forza di Pompei, deve diventare la forza dei fedeli di tutto il mondo, secondo l’esortazione che ci è venuta da papa Benedetto XVI per l’Anno della fede e confermata di recente da papa Francesco che invita a recitare il Rosario soprattutto in famiglia». Perché il Rosario è anche nell’idea di Bartolo Longo un «cammino di santità». E spiegava: «A quel modo che due amici, praticando frequentemente insieme, soglion conformarsi anche nei costumi, così noi, conversando familiarmente con Gesù Cristo e con la Vergine, nel meditare i Misteri del Rosario, possiamo divenire, per quanto ne sia capace la nostra bassezza, simili ad essi ed apprendere da questi sommi esemplari il vivere umile, povero, nascosto, paziente e perfetto».Pompei ha però un altro pilastro: oltre al Rosario c’è quello della carità che da sempre è stata la sua declinazione. Per un provvidenziale disegno, il beato Bartolo Longo unì in questa Valle ai piedi del Vesuvio fede e carità. È proverbiale la sua affermazione: «Carità senza fede sarebbe la suprema delle menzogne. Fede senza carità sarebbe la suprema delle incongruenze». Si guardò intorno e cominciò con i figli dei carcerati che uno scientismo positivistico, alimentato da tesi lombrosiane, riteneva fossero ineducabili. Dimostrò il contrario. E fu prodigo perché prodiga fu la Provvidenza: «A Valle di Pompei, la Vergine con il suo Rosario restaura il concetto puro, luminoso possente della Carità. Le opere di beneficenza educatrice che circondano il santuario non ne sono un’aggiunta accidentale, ma ne sono invece la naturale espansione. Sono i sentimenti destati dal Rosario di Maria che diventano bellezza d’arte, maestà di monumento, e più ancora forza soccorritrice di salvezza sociale».«Le opere di carità da lui iniziate – dice l’arcivescovo Caputo – continuano ancora oggi adattandosi ai bisogni moderni. La nostra società, pur così avanzata in molti campi, non riesce a sottrarsi al peso dei ritardi e delle ingiustizie sociali». Il tempio di pietra ospita ancora fede e carità. È la <+corsivo>carità pompeiana<+tondo>. Stanno insieme o cadrebbero entrambe.