«In questo momento non possiamo dimenticare che il flagello della droga continua a imperversare in forme e dimensioni impressionanti, alimentato da un mercato turpe e che continua a crescere il pericolo per tanti ragazzi e adolescenti ». Il segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin riprendendo le parole di papa Francesco ha voluto mettere il dito nella piaga nel corso della sua vita ieri pomeriggio in occasione del Natale del Giubileo al Centro italiano di solidarietà (Ceis) don Mario Picchi di Roma, in prima linea nella lotta alle dipendenze. «Di fronte a tale fenomeno non possiamo non esprimere profondo dolore e grande preoccupazione. La Chiesa non può rimanere in silenzio » ha detto il cardinale Parolin rispondendo alle domande dei giornalisti presenti: «La droga non si vince con la droga. La droga è un male e con il male non ci possono essere cedimenti o compromessi e pensare di poter ridurre il danno, consentendo l’uso di psicofarmaci a quelle persone che continuano a usare droga, non risolve affatto il problema». Il cardinale ha incontrato i tossicodipendenti e le loro famiglie ospiti del Centro, fondato da don Picchi alla fine degli anni Sessanta. «Il mio stare qui insieme a voi a vivere questo speciale Giubileo straordinario della misericordia – ha detto – è anche un modo per farvi giungere la carezza del Papa». Nell’omelia della Messa, a cui hanno partecipato più di cinquecento ragazzi e alcuni profughi accolti nella struttura, ha ricordato i quarant’anni di attività del Ceis. E ha sottolineato come in tutto questo tempo il Centro ha sempre tenuto fede all’insegnamento, morale e pratico, che don Mario Picchi ha riassunto nei principi base della filosofia del 'Progetto Uomo', che pone la persona umana al centro della storia, come protagonista, affrancata da ogni schiavitù, tesa al rinnovamento interiore, alla ricerca del bene, della libertà e della giustizia. «La Chiesa – ha detto Parolin – fedele all’insegnamento di Gesù, non può abbandonare quanti sono coinvolti nella spirale della droga: li prende per mano, attraverso l’opera di tanti operatori e volontari, perché riscoprano la propria dignità e facciano riemergere quelle risorse, quei talenti personali che la droga ha sepolto in loro, ma che non poteva cancellare, dal momento che ogni uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio». Ha quindi rilevato come negli ultimi anni il ventaglio delle dipendenze si è andato notevolmente espandendo. «Non ci si puó limitare tuttavia al lavoro di recupero. Bisogna lavorare sulla prevenzione. Abbiamo davanti agli occhi l’esempio di tanti giovani che, desiderosi di sottrarsi alla dipendenza dalla droga, si impegnano a ricostruire la loro vita. È questo è uno stimolo a guardare in avanti con fiducia». In oltre quarantacinque anni di attività, il Ceis ha accolto diverse volte Paolo VI e Giovanni Paolo II. Dalla sua fondazione il Centro si è sviluppato notevolmente nel corso del tempo con numerose strutture sia a Roma sia nella provincia. Dalla comunità terapeutica per i tossicodipendenti alla cura dei giovani in doppia diagnosi (tossicodipendenza con problemi psichiatrici). Dall’assistenza domiciliare ai malati di Aids e agli anziani, alle iniziative in favore dei senza fissa dimora, immigrati, rifugiati e richiedenti asilo politico, fino alla prossima apertura della comunità per pazienti psichiatrici dimessi dagli ospedali. Il presidente del Ceis, Roberto Mineo, ha voluto esprimere la sua gratitudine insieme ai ragazzi «che il primo collaboratore di papa Francesco abbia voluto festeggiare il Natale insieme con tante persone che lottano ogni giorno per uscire da numerose forme di dipendenza, soprattutto quella della droga». È «un’occasione – ha detto – anche per salutare quelli che hanno finito il percorso di riabilitazione nel centro e che sono ritornati alla vita».