Un vescovo, 16 sacerdoti, 1 religioso e 2 volontari laici, venti persone in tutto. E’ questo il bilancio degli operatori pastorali uccisi nel corso del 2008 nelle varie parti del mondo, secondo il tradizionale rapporto di fine anno diffuso dall’agenzia
Fides. Il caso certamente più noto riguarda la morte di monsignor Paulos Faraj Rahho, arcivescovo caldeo di Mosul, in Iraq, rapito il 29 febbraio all’uscita della chiesa dello Spirito Santo dopo aver celebrato la Via Crucis e ritrovato morto il 13 marzo successivo.
All’Asia spetta ancora il primato del continente più “pericoloso” per gli operatori cattolici: oltre all’arcivescovo iracheno hanno trovato la morte 6 sacerdoti e una volontaria laica, con India, Sri Lanka, Filippine e Nepal paesi bagnati dal loro sangue. Tra i sacerdoti uccisi il rapporto cita in particolare don Bernard Digal, il primo prete cattolico vittima della violenza anticristiana nello stato indiano dell’Orissa. Secondo le cifre fornite dai vescovi indiani, nell’Orissa sono stati uccisi in totale 81 cristiani mentre decine di migliaia sono i profughi. In India, ma nello stato dell’Andra Pradesh, è stato poi ucciso un altro sacerdote, il carmelitano p. Thomas Pandipallyil, sempre nel quadro delle violenze fondamentaliste indù.Dopo l’Asia, nella classifica dei continenti più violenti contro gli operatori cattolici viene
l’America, con 5 sacerdoti uccisi: 2 in Messico e 1 in Venezuela, Colombia e Brasile.
In Africa hanno invece perso la vita in modo violento 3 sacerdoti e 1 religioso (in Kenya, Guinea Conakry e Nigeria) e un volontario laico (Repubblica Democratica del Congo). Infine due sacerdoti uccisi anche
in Europa, entrambi in Russia. A questo elenco provvisorio – dice l’agenzia Fides – deve essere comunque aggiunta «la lunga lista dei tanti di cui forse non si avrà mai notizia, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano anche con la vita la loro fede in Cristo».