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La Route nazionale. «Ecco perché sono scout»: a Verona loro lo spiegano così

Alessandro Saccomandi e Chiara Vitali, inviati a Verona sabato 24 agosto 2024

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Lo stereotipo è che gli scout siano quelli che vanno in giro nei boschi con i calzoncini corti, stile Giovani Marmotte della Disney. Ma cosa significa veramente essere scout? Rispondono direttamente loro, i ragazzi e le ragazze che a Verona partecipano alla Route Nazionale.

Avvenire ha portato a Villa Buri uno spazio dove per due giorni i partecipanti hanno lasciato i loro pensieri. Ne esce uno spaccato eterogeneo di motivazioni che legano le diverse generazioni e provenienze. C’è chi, per esempio, ha trovato nello scautismo un modo per «sentirmi viva», «essere una persona migliore», «donarmi agli altri», «permettere la crescita di uno spirito critico libero».

In effetti, in questi giorni gli scout hanno partecipato a più di 60 incontri con testimoni del nostro tempo su tematiche come la giustizia, il bene comune, il prendersi cura dell’altro e del pianeta. Ma anche durante l’anno, i gruppi hanno un metodo specifico per interagire con i problemi della realtà e tenere vivo quello spirito critico, ad esempio i più grandi periodicamente indagano uno specifico argomento, lo studiano, lo conoscono fino a provare a incidere in quel contesto.

undefined - Virgilio Lorenzo Politi/RN24/AGESCI

«In questo tempo di crisi di valori e disorientamento, lo scautismo rappresenta una roccaforte per le nuove generazioni e una speranza per il futuro», scrive a questo proposito un capo scout sulla lavagna di Avvenire. Tra i post-it spicca anche un bisogno di ricerca di sé. «Essere scout mi ha insegnato ad ascoltarmi dentro, ad essere più onesta possibile», scrive un capo, e poi «Vita pura, intensa, piena, che si vive insieme con lo sguardo lungo. Essere scout mi ha fatto rinascere, scoprire nuove parti di me, fare scelte felici. Si impara da piccoli a diventare grandi».

Altri dicono che con gli scout si impara ad essere «indipendenti, autonomi e liberi», con «il cuore pieno». Fare questa esperienza, dice un altro biglietto, «mi spinge a buttarmi in situazioni apparentemente scomode ma arricchenti con persone che mi fanno sentire parte di qualcosa di grande».

Tra i post-it c’è anche chi scherza proprio con gli stereotipi: «Sono scout perché voglio puzzare», «Mi hanno costretto da piccolo ma sono rimasto per scelta», «Mi sta bene la gonna-pantalone», «Sono scout per fare attraversare la strada alle vecchiette», «Sono scout per non avere mai un weekend libero: è bellissimo!».

Ma in realtà la maggior parte delle testimonianze torna su temi seri, come la fame di spiritualità e la ricerca di Dio. «Da quando sono scout, ho imparato a vedere Dio negli altri» scrive ad esempio un capo. Un altro dice «Essere scout è vivere con autenticità e coerenza il messaggio di Dio», oppure «Scoprire quale è la propria forma autentica anche alla luce della Parola».

Per chiudere, una componente certamente significativa per tutte le capo e capi scout è la dimensione comunitaria, che spesso si lega a quella dell’accoglienza di ciascuno e alla valorizzazione delle diversità. «Agli scout mi sento veramente me stesso, senza pregiudizi e preconcetti» scrive un capo. «Sono diventato capo scout per i nostri ragazzi, i loro sorrisi ripagano tutta la fatica». Qualcuno racconta anche di essere arrivato a questa Route dopo essersi allontanato per un periodo dal mondo scout, e di esserci tornato solo da pochi mesi. «È stata una scelta consapevole, un ritorno a casa dopo averne lasciata una meno accogliente. Gli scout offrono possibilità di sognare come in pochi contesti».