Cremona. Napolioni: Francesco a Bozzolo, atto di giustizia e riconciliazione
Il vescovo di Cremona Antonio Napolioni
«Un incontro tra due preti, davanti ad altri preti. Un dialogo intimo al di là del tempo e dello spazio ». Così il vescovo di Cremona, Antonio Napolioni, vede la visita di papa Francesco sulla tomba di don Primo Mazzolari a Bozzolo. Appena un’ora e mezza per un dialogo intimo e intenso. Prima di correre a trovare un altro parroco, don Lorenzo Milani. Perché questo omaggio a Mazzolari? Credo che Francesco abbia scoperto don Primo qui in Italia. Con lui penso renda omaggio alle innumerevoli storie di parroci straordinari. Esiste in Italia una sorta di 'magistero dei parroci', che hanno inciso non solo attraverso il servizio ma anche con il pensiero e la parola. Si sono lasciati rendere inquieti dai tempi e sono stati capaci di essere maestri di discernimento, anticipando molti temi che allora sembravano prematuri.
Subito dopo corre a Barbiana. Perché questo abbinamento?
Entrambi, don Primo e don Lorenzo, si sono lasciati bruciare dal rapporto con Cristo, un Cristo non spiritualizzato, non da santino, ma un Cristo la cui grazia va pagata a duro prezzo, una grazia fatta di 'lotta e contemplazione' per usare un’espressione di frère Roger, filone costante nella Chiesa fin dai tempi dei martiri. Per loro il Vangelo non è un tranquillante. E se il Papa decide di fermarsi sulle loro tombe, credo sia un atto non solo di giustizia ma soprattutto di riconciliazione.
Un omaggio a Mazzolari, dunque. Ed an- che alla sua gente, alla sua comunità?
Mazzolari è figlio di una Chiesa con una storia e una tradizione ben precise. Penso a Geremia Bonomelli, vescovo della conciliazione, e alla sua pastorale dei migranti. O a Giovanni Cassani, vescovo con cui don Primo intrattenne un rapporto meraviglioso, fatto di sofferta condivisione, di richiami paterni e di obbedienza 'in piedi'.
Di ciò che fu Mazzolari, che cosa è più valido per i nostri tempi?
La centralità dell’incarnazione. La Chiesa, con i suoi laici e presbiteri, cerca Cristo nella realtà. In tutti cerca di cogliere almeno un frammento di verità, riconoscendo i segni del Verbo. A rendere possibile l’incarnazione è lo sguardo contemplativo sulla realtà, una realtà come 'cantiere del Regno'. Don Primo ha attraversato tempi travagliatissimi: la prima guerra mondiale, il fascismo, la seconda guerra, la resistenza, la democrazia con la Dc... Lo stile con cui affrontò il travaglio del Novecento è un esempio prezioso per i nostri anni di travaglio.
Qual è il tratto caratteristico di questa terra, tra pianura e fiume?
Lo so, lei sta pensando che Brescello è vicina a Bozzolo. Entrambi sono un 'piccolo mondo': la cascina cremonese chiusa, protetta. Per me che vengo dai monti marchigiani, questi orizzonti aperti inquietano e sì, comprendo il bisogno di 'proteggersi', di circondarsi di una barriera perché dal vuoto là fuori può arrivare di tutto. Ma, nel fronteggiarsi, il lontano diventa prossimo, se riconosciamo l’umano che è in lui. Così la cascina protetta diventa non barricata che isola, ma luogo d’incontro.
Oggi Francesco visita due periferie.
Nuove periferie che nascondono risorse da riscoprire. Ovunque stiamo faticando. Con la riduzione del clero non possiamo garantire a ogni paese un parroco in esclusiva, e in certe parrocchie potrebbe sorgere il timore di sentirsi abbandonati. Non è così, naturalmente. Ma queste periferie hanno bisogno di vicinanza e di allearsi.
Se Francesco avesse avuto a disposizione un’ora in più, dove le sarebbe piaciuto accompagnarlo?
Da egoista, lo avrei fatto dialogare con i giovani. Egoista, perché a Cremona abbiamo convocato il Sinodo diocesano dei giovani ancor prima di quello universale indetto dal Papa. Ne sono convinto: attraverso i giovani possiamo cogliere le vere sfide del cambiamento. E don Primo ci viene in aiuto, perché in certe sue pagine, nel passato, sono custodite più idee per il futuro di tanti nostri progetti.