Napoli. Il sangue non si scioglie, niente prodigio di San Gennaro
L'ampolla con il sangue di San Gennaro
Non sono servite le invocazioni, né le preghiere dei fedeli che dalla mattina affollavano la cattedrale di Napoli. Il prodigio non c’è stato, il sangue di san Gennaro non si è sciolto.
La città, infatti, celebra il patrono in tre date: il 19 settembre, 16 dicembre, il primo sabato di maggio. Tre date storico-religiose attorno alle quali ruota la pietà popolare e il cammino spirituale della città. Tre gesti di pietà che si rincorrono e si riallacciano. Tutto parte quel 19 settembre del 305 quando alla solfatara di Pozzuoli viene raccolto il sangue del vescovo martire, dopo la sua decapitazione. Sono proprio quelle ampolle che questa mattina, alle 9, sono state portate dalla cappella all’altare maggiore della Cattedrale per attendere l’auspicato prodigio della liquefazione. Ma nonostante le preghiere delle “parenti” di san Gennaro (un gruppo di anziane che dall’ottocento intonano litanie e preghiere) il prodigio non è avvenuto.
L’abate della Cappella del Tesoro monsignor Vincenzo de Gregorio, dopo aver aperto la cassaforte che contiene il reliquiario con le ampolle del sangue, ha ricordato il momento di difficoltà: «Il sangue – ha confermato dopo una lunga giornata di preghiera – è rigorosamente solido. Dio dia forza e coraggio al nostro popolo per affrontare questa pandemia che sta costringendo a ripensare la propria vita e che sta causando molti problemi soprattutto ai più deboli e ai morti in solitudine, che sono il dramma più grande».
Alle 18.20 è arrivato anche il cardinale arcivescovo Crescenzio Sepe, di ritorno dalla riunione della Conferenza episcopale campana, e si è inginocchiato in preghiera, dinanzi alle ampolle che custodiscono il sangue del patrono. Poi con la teca ha attraversato la navata centrale per benedire i fedeli. «Ci sentiamo partecipi di questo evento così particolare: la nostra devozione al santo. Ma il mancato prodigio – ha spiegato – non è nessun presagio di sciagure, né epidemie, né guerre: siamo uomini e donne di fede».
Da sempre i napoletani si sono rivolti al loro patrono perché li protegga dalle calamità naturali: folle di persone nei primi secoli correvano a cercare rifugio nelle catacombe di Capodimonte. Così successe nel 472, nel 512 e nel 685, con i vescovi napoletani dell’epoca a guidare le preghiere del popolo. Poi, divenne consuetudine invocare il santo per chiedere la fine dei fenomeni vulcanici: nel 1631, il 16 dicembre, si decise l’esposizione delle reliquie e l’eruzione del Vesuvio si bloccò.
Più recentemente, il 15 maggio del 1983, a conclusione del XXX Sinodo diocesano, il prodigio suggellò l’evento. Di recente, il 17 giugno del 2007, durante la visita a Napoli dell’arcivescovo Chrysostomos II, capo della Chiesa ortodossa di Cipro, il prodigioso evento si è ripetuto. Mentre non avvenne durante la visita di Giovanni Paolo II nel ’90; né quella di Benedetto XVI nell’ottobre del 2007, mentre si è sciolto con papa Francesco nel marzo 2015.
Ora le ampolle verranno riprese nella terza data dedicata al santo: il sabato che precede la prima domenica di maggio. Ieri, molta trepidazione per il prodigio non avvenuto: esiste un diario dei canonici del duomo che riporta le volte che il sangue non si è sciolto. Ci sono episodi che hanno segnato la città e i napoletani, ben prima del Covid-19: l’epidemia di colera a Napoli nel 1973 e il terremoto del 1980. Due sciagure precedute da un prodigio mancato. Poi, guerre, pestilenze, carestie: l939 e 1940, ad esempio, in corrispondenza con l’inizio della seconda guerra mondiale e dell’entrata nel conflitto dell’Italia. E, ancora, nel settembre del 1943: data dell’occupazione nazista.