L'inedito. Montini, come vivere la Pasqua
Don Montini negli Anni Trenta
«Novant’anni fa – ricorda don Angelo Maffeis, presidente dell’Istituto Paolo VI di Concesio in provincia di Brescia – in una riflessione sulla Settimana Santa, poi pubblicata nei suoi Scritti liturgici, Giovanni Battista Montini suggeriva così l’atteggiamento con cui disporsi alla celebrazione pasquale: «…Bisogna trovarsi un posto in una qualche chiesa, dove la grande preghiera si compia nella dovuta maestà, con molte anime sorelle che preghino accanto, con un Pontefice che per tutta la plebe dica lui le tremende e sublimi cose che son da dire a Dio questa volta. Questa volta una delle leggi fondamentali dell’orazione cattolica si applica in pieno: al massimo grado di intensità di preghiera interiore e personale corrisponde il massimo grado di carità di preghiera esteriore e sociale…».
Forse quest’anno – come l’anno scorso – non sarà facile rispettare alla lettera queste indicazioni, ma non sarà difficile recepirne lo spirito. Nella consapevolezza, detto con Montini, che «la liturgia sola sa compiere questo prodigio della vi- ta spirituale: conciliare la persona individuale con il corpo sociale, e accrescere ad un tempo la impressione della religione ardente nel santuario del suo cuore». Riflessioni quelle che costellano i testi del futuro Paolo VI che ne palesano l’attesa di luce, di Risurrezione, sopra la nostra umanità, e che, partite da lontano, ancor ci accompagnano nell’aspirazione ad armonizzare verità e carità, spiritualità e cultura. Se ne ha conferma ad ogni pubblicazione montiniana.
Accade anche con l’edizione critica del nuovo tomo del Carteggio promosso dall’Istituto Paolo VI, relativo al biennio 1926-1927: che trova il futuro Papa nell’incarico di assistente ecclesiastico generale della Fuci. La corrispondenza (con familiari, confratelli, laici, ecclesiastici, profili noti e non, sui quali si aprono molti squarci), a cura di Xenio Toscani, Cesare Repossi, Maria Pia Sacchi con la collaborazione di Caterina Vianelli, Giovanna Fiorani, Chiara Montini e Lino Albertelli (Studium, pp. 1129 +VIII, 100), documenta ciò che nella visione di “don Gbm” era una sorta di iniziazione necessaria all’adesione alla Fuci, prendendosi atto del bisogno di solide basi per intervenire nel dibattito in corso tra fede e scienza.
Da qui il leit motiv della formazione educativa: con la proposta ai fucini di corsi sui fondamenti del cristianesimo, e di una pratica costante della carità e della preghiera. Due elementi imprescindibili nei processi di maturazione di soggetti candidati a formare la classe dirigente del Paese, nel configurarsi di opzioni culturali di respiro europeo distanti da quelle che il regime autarchico cercava di imporre. E, a questo proposito, le lettere documentano qui le violenze fasciste, ma pure le incomprensioni da parte cattolica: nella Curia Romana e nella stessa Ac.
Nel frattempo l’attività fucina continua. Dedita a promuovere, lo leggiamo nella circolare pasquale qui riportata «una intensa preparazione spirituale e culturale» attraverso «la collettiva e solidale unione di intenti e di amicizie », non senza l’invito ad amare «con indulgenza fraterna », il cenacolo associativo retto da assistenti ecclesiastici interpreti del loro ruolo come quello di chi è «sale e luce».