25 aprile. Milena, la partigiana che diventò suora di clausura
Milena Zambon, futura suor Rosaria
Staffetta partigiana a 20 anni, sopravvissuta al lager di Ravensbrück, “l’inferno in terra”, sperimentando la vicinanza di Dio, poi monaca benedettina di clausura. «Mi sono salvata solo grazie al Rosario», diceva. Poteva restare sconosciuta la storia di Milena Zambon (1922-2005), come quella di tante staffette partigiane donne: almeno 70mila, il doppio delle combattenti, secondo gli studi più accreditati. Con il nome di suor Rosaria cercò la sua “tregua” nel nascondimento del monastero di Sant’Antonio in Polesine, a Ferrara, dove morì nel 2005. Nessuno dei turisti che nelle ore di apertura visitavano gli straordinari affreschi di scuola giottesca della Passione di Cristo e delle Storie di Maria, poteva immaginare che quella suora portinaia che li scortava fino ai colori dell’abside, illustrandone l’iconografia unica al mondo, nascondesse una storia eroica. Oggi il monastero, pur nella discrezione imposta dalla regola, la ricorda. Suor Gemma che le è succeduta al portone dice: «c’era lei al posto mio». E mostra le sue “Memorie” scritte per obbidienza (2008, ed. Messaggero di Padova) la cui lettura si diffonde lentamente.
Una vicenda rimasta sconosciuta per anni
Esce così dall’ombra un racconto mozzafiato, non letterario ma dettagliato, fitto di riscontri inaggirabili da ogni revisionismo, che in un linguaggio domestico esplora l’indicibile. Spicca il temperamento con cui lei, nata a Malo (Vicenza), una volta assunta in Banca d’Italia a Padova non lascia il lavoro neppure sotto i bombardamenti. Quando le amiche sorelle Martini (oggi nomi noti della Resistenza) le chiedono aiuto per la rete clandestina di padre Placido Cortese, la “Catena di salvezza”, dice sì: «la proposta mi entusiasmò oltre ogni dire». Scorta in treno al confine di Como ex prigionieri alleati, ebrei e perseguitati politici «nonostante la caccia delle Ss tedesche. Mi ero messa in quell’impresa pericolosa per carità cristiana. Mi affidavo alla Madonna, ricorrendo a lei con cieca fiducia in ogni mio bisogno», chiedendo salvezza non per sé ma per i profughi.
L'arresto, le torture e l'internamento in un lager
Arrestata, torturata nelle carceri di Venezia e Bolzano, non rivelerà i nomi della rete. Fa lo stesso anche padre Cortese, che verrà trucidato. Nel giardino dei Giusti di Padova sono ricordati entrambi con i giovani della Catena. La condanna alla fucilazione verrà commutata in lager a Ravensbrück (123mila prigioniere da 20 nazioni), poi a Wittemberg. A 100 chilometri da Berlino, saranno gli ultimi lager europei ad essere liberati. Milena nasconde il Rosario anche nelle perquisizioni, finché non glielo strappano. Intorno madri costrette ad uccidere i figli, donne torturate o avviate ai crematori: «se non avessi visto con i miei occhi non crederei a dove può giungere la ferocia umana» scrive. Il 13 dicembre 1944 compie 22 anni: in regalo bucce di patate, costate giorni di privazioni ad una compagna. Spenta dalla tisi, ripete la preghiera mariana. Le truppe dell’Armata rossa liberano il campo e anche lei fugge, curandosi nelle infermerie militari. A Wittemberg, durante il saccheggio della città, prenderà per sé pane nero e un Rosario.
Il ritorno in Italia e la scelta di vita
Nel ritorno in Italia su carri, camion e treni via Berlino, Dresda, Praga, Vienna, Verona vede l’Europa appena dopo la devastazione, scampando ancora alla morte e al rischio di stupri. Sulla porta di casa la nonna non la riconosce. Tra tisi e incubi, impiegherà mesi per ritrovare la sua giovinezza. Il fidanzamento non le dà la pace cercata. Nel 1948 sceglie la vita religiosa. Nel silenzio di un ex deportata solo Dio può guardare: "nei continui terrori avevo sentito sempre il Signore accanto come fossimo in due" annota, «come un aiuto soprannaturale a non spegnere la voce della coscienza e a non perdermi». Come perfino nelle tenebre aveva sperato, così da benedettina consegnò a Dio il dolore del mondo.
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