Diocesi. La lettera pastorale di Delpini per Milano: no nostalgia, sì al futuro
«Siamo un popolo in cammino» che abita quaggiù una città stabile, ma va in cerca di quella futura, la Gerusalemme nuova indicata dal veggente dell’Apocalisse e proprio per tale ragione «pratica con coraggio un inesausto rinnovamento», non «vive di nostalgia» o non si ammala «di risentimento». Lo dice l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, nelle pagine iniziali della Lettera pastorale per l’anno 2018-2019, la sua Lettera pastorale, che porta il titolo di Cresce lungo il cammino il suo vigore ed esce nelle librerie questo lunedì. In una Chiesa che sembra spesso affetta da “documentite” («oggi i documenti non destano lo stesso interesse che in altre epoche, e sono rapidamente dimenticati» fa notare con schiettezza anche l’attuale Pontefice in Evangelii gaudium) Delpini sceglie una via di meritoria sobrietà. La Lettera consta infatti di 37 pagine di piccolo formato, con le linee pastorali essenziali, e il resto, una lunga appendice, sono Salmi consigliati per la preghiera commentati con la consulenza di don Massimiliano Scandroglio, docente di esegesi dell’Antico Testamento alla Seminario di Venegono. Questo perché l’anelito di fondo della Lettera, per citare Delpini, è «l’urgenza di richiamare alla visione cristiana della vita, che è per tutti vocazione». L’urgenza di tornare ai fondamenti, si potrebbe dire, interiormente e nella vita vissuta.
Sui giovani: superare il senso di scoraggiamento
Nella prima parte l’arcivescovo affronta due temi: l’incontro tra cattolici provenienti da differenti Paesi per effetto delle migrazioni, cui l’arcidiocesi ha dedicato un Sinodo cosiddetto “minore” di cui Delpini annuncia la conclusione il prossimo 3 novembre; e i giovani, tema di un altro incontro sinodale, in questo caso promosso dalla Chiesa universale a ottobre. Parlando della questione migratoria, l’arcivescovo spiega che «il convenire di genti da ogni parte della terra nell’unica Chiesa cattolica apre a leggere meglio il Vangelo». A proposito dei giovani il presule esprime un auspicio: «È tempo, io credo, di superare quel senso di impotenza e di scoraggiamento, quello smarrimento e quello scetticismo che sembrano paralizzare gli adulti e convincere molti giovani a fare del tempo della loro giovinezza un tempo perso tra aspettative improbabili, risentimenti amari, trasgressioni capricciose, ambizioni aggressive: come se qualcuno avesse derubato una generazione del suo futuro. La complessità dei problemi e le incertezze delle prospettive occupazionali non bastano a scoraggiare i credenti». Il pastore sulla cattedra di sant’Ambrogio passa poi a indicare le linee pastorali vere e proprie: «Propongo che l’anno pastorale 2018/2019 sia vissuto come occasione propizia perché le comunità e ciascuno dei credenti della nostra Chiesa trovino modo di dedicarsi agli “esercizi spirituali” del pellegrinaggio. Gli esercizi che raccomando sono l’ascolto della Parola di Dio, la partecipazione alla celebrazione eucaristica, la preghiera personale e comunitaria». Il che si può riassumere nella triade Bibbia, Eucaristia e preghiera.
In particolare Delpini invita a «trovare nelle celebrazione eucaristica quella fonte di gioia e di comunione, di forza e di speranza che possa sostenere la fatica del cammino». «Come si spiega – continua l’arcivescovo – che la celebrazione della Messa, in particolare della Messa domenicale, abbia perso la sua attrattiva? Dove conduce il cammino di iniziazione cristiana che impegna tante buone risorse e coinvolge tanti ragazzi e tante famiglie, se alla sua conclusione non crea la persuasione che “senza la domenica non possiamo vivere”». E l’invito è a «reagire anche a una deriva che organizza i tempi del lavoro senza aver alcuna attenzione alla sensibilità cristiana per la domenica».
No all'immagine di un clero «che non ha mai tempo»
Ancora, Delpini sollecita tutti a «ad accogliere l’indicazione antica che suggerisce di pregare con i Salmi, la preghiera dei credenti di Israele, il popolo santo di Dio». «L’immagine di un clero indaffarato che “non ha mai tempo” non ci fa molto onore – continua il presule – la disciplina del tempo e la lucida persuasione delle priorità possono trasmettere un’immagine più realistica e più edificante del vescovo, dei preti e dei diaconi, come uomini di preghiera, che proprio perché pregano e pregano sempre e pregano bene possono essere guide affidabili nel pellegrinaggio della vita e possono sostenere le fatiche di tutti con l’intercessione ininterrotta».
L’arcivescovo ricorda infine la grande tradizione dell’«umanesimo cristiano» che «ha segnato la storia e le geografia di questa terra lombarda». Ricorda che «la dottrina sociale della Chiesa, il magistero della Chiesa sulla vita e sulla morte, sull’amore e il matrimonio, non sono una sistematica alternativa ai desideri degli uomini e delle donne, ma sono una benedizione» e ricorda ancor più che i cristiani, in particolare quelli che nella società ricoprono ruoli di responsabilità, devono «difendere, tradurre in pratiche persuasive quei tratti dell’umanesimo cristiano che contribuiscono alla qualità alta della vita delle comunità, delle famiglie, di ogni uomo e di ogni donna». A questo proposito Delpini ritiene «opportuno creare nelle comunità cristiane luoghi di confronto, di elaborazione di proposte e di giudizi selle vicende del nostro tempo e della nostra terra. Per favorire questo compito chiedo alla Commissione per la promozione del bene comune che intendo costituire nei prossimi mesi di farsi stimolo ed esempio, strumento per attivare questo stile cristiano di presenza dentro una società e una politica in piena trasformazione».
La liturgia delle ore, nutrimento per tutti
La seconda parte della Lettera, la più corposa come si diceva all’inizio e anche quella più meditativa, è un lungo invito alla preghiera attraverso alcuni Salmi presi come spunto, perché la proposta piena è quella di «pregare con tutti i Salmi del Salterio e in particolare con quelli che la liturgia delle ore propone come preghiera della Chiesa». L’approccio è espresso da una citazione suggestiva di Romano Guardini: «Il modo più più appropriato di accostarsi ai Salmi non è quello di leggerli, di riflettervi sopra, di studiarli, ma quello di lasciarsi trasportare nel loro movimento verso Dio».
Scrive verso la chiusa il pastore di Milano: «Essere oggi testimoni del Vangelo, cioè della possibilità inattesa dell’incontro pieno e definitivo con Dio, dischiusa dalla Pasqua di Gesù, è per la Chiesa tutta, oltre che una responsabilità seria e un motivo di gioia grande, anche una vera e propria impresa. Una cultura contemporanea, per diversi tratti contraria ai valori del Vangelo; cambiamenti epocali da tanti punti di vista, non sempre agevoli da interpretare; un volto e una struttura di Chiesa da ripensare, per rispondere in modo più adeguato ai compiti della “nuova evangelizzazione”; forze all’apparenza sempre troppo esigue per una “messe” dagli orizzonti sconfinati (cfr. Lc 10,2). Alla comunità che avverte talvolta il pericolo concreto di “lasciarsi cadere le braccia” (cfr. Sof 3,16), Dio rinnova il proprio energico appello: “Camminate!”. Un appello che non sa anzitutto di comando, ma di promessa. Un appello che manifesta e conferma una presenza paterna».