Coronavirus: la fede. Messe pubbliche, rebus Europa
È come se si inginocchiasse davanti alle bare di tutti coloro che hanno perso la vita a causa del coronavirus. E abbracciasse i parenti e gli amici che non hanno potuto dare l’ultimo saluto ai familiari scomparsi. «Preghiamo per i defunti che sono morti per la pandemia», dice papa Francesco durante la quotidiana Messa presieduta ieri mattina nella cappella di Casa Santa Marta. E subito aggiunge: «Sono morti da soli, sono morti senza la carezza dei loro cari, tanti neppure con il funerale. Il Signore li accolga nella gloria».
Il Pontefice li ricorda tutti nel corso dell’Eucaristia, mentre in Italia si riprendono ad avere i funerali nelle chiese seppur con cautela e prudenza, dopo l’accordo fra la Cei e il Governo. Il tutto in attesa di «poter presto tornare a vivere e celebrare insieme con il concorso del popolo il grande dono dell’Eucaristia, nel rispetto e nell’attenzione alla salute e al bene delle persone», come scrivono i vescovi della Conferenza episcopale del Triveneto a conclusione dell’incontro di ieri in videoconferenza durante il quale i presuli del Nord Est «si sono interrogati anche sulla mutata immagine e presenza di Chiesa che le comunità cristiane sono chiamate a vivere nei rispettivi territori, in un necessario e sostanziale ripensamento di orientamenti, priorità e impegni pastorali essenziali». E nell’emergenza sanitaria, aggiungono, sono scaturite «la richiesta più frequente di domande e di risposte di senso, la valorizzazione del sacerdozio battesimale di tutti i fedeli e della famiglia come piccola Chiesa domestica».
La “ripresa” delle celebrazioni con la comunità al tempo del Covid è una questione che tiene banco non solo nella Penisola ma in tutto il mondo. A cominciare dall’Europa dove si cercano soluzioni per conciliare la libertà di culto e la tutela della salute personale e pubblica. Se, ad esempio, in Francia o in Spagna le liturgie “aperte” non sono ancora consentite del tutto, in Polonia il Consiglio permanente dell’episcopato locale ha «incoraggiato, in conformità a tutti gli ordini delle autorità sanitarie e statali, a partecipare alle celebrazioni del mese di maggio» e ha specificato che «in nome della sicurezza sociale la Chiesa accetta con responsabilità le restrizioni sanitarie dello Stato imposte dall’epidemia, anche se per molti esse sono difficili e dolorose ». Negli Stati Uniti, dopo alcune settimane di “chiusura”, le chiese hanno cominciato a riaprire. E la Conferenza episcopale Usa ha lasciato ai singoli vescovi la decisione su quando tornare a celebrare pubblicamente le Messe, «in base alle circostanze locali e tenendo conto delle linee guida stabilite dalle autorità sanitarie ». Una manciata di diocesi ha già dato il via libera ai riti ma sempre tenendo in dovuta considerazione il distanziamento fisico. Tornando al Papa, dalla Messa a Santa Marta arriva una domanda. «Ma io credo? Cosa mi ferma davanti alla porta che è Gesù?», chiede Francesco nell’omelia di ieri. E indica una serie di ostacoli all’incontro con Cristo. Il primo è la ricchezza.
«Il Signore è stato duro con le ricchezze » perché «sono un impedimento. Ma dobbiamo cadere nel pauperismo? No. Ma non essere schiavi delle ricchezze, non vivere per le ricchezze ». Poi c’è la rigidità: del cuore, nell’interpretazione della Legge. «Che non è fedeltà», afferma il Pontefice. Quindi l’accidia che «ci toglie la volontà di andare avanti». Un altro cattivo atteggiamento è il clericalismo perché «si mette al posto di Gesù». Infine lo spirito mondano. «Pensiamo alla celebrazione di alcuni sacramenti in alcune parrocchie – ammonisce Francesco –: quanta mondanità c’è lì! E non si capisce bene la grazia della presenza di Gesù».