Chiesa

«Messe di guarigione». I vescovi fanno chiarezza: attenti ai miracolismi

Marco Bonatti sabato 10 novembre 2018

Si intitola: Disposizioni disciplinari circa le cosiddette Messe di guarigione È il testo appena approvato dai vescovi piemontesi

E' dal bisogno di “consolazione” che nasce la preghiera: fin dai Salmi di David il credente cerca la presenza di Dio al suo fianco, nei momenti della prova. E chiede al Signore la forza, la salute, la guarigione, la sapienza… Ma tali doni, come il Vangelo continuamente ricorda, appartengono alla gratuità del Signore, e si ritrovano soltanto in quel contesto di fede che è proprio della Chiesa. I vescovi di Piemonte e Valle d’Aosta hanno voluto sottolineare alcune indicazioni di fondo intorno alla realtà complessa della «preghiera per la guarigione», su cui c’è grande attenzione da parte di gruppi di fedeli e di alcune aggregazioni ecclesiali. Il documento, entrato in vigore il 1° ottobre scorso, ribadisce alcuni precisi punti disciplinari - se ne parla nell’intervista in questa stessa pagina.

Ma la disposizione dei vescovi intende prima di tutto avere carattere pastorale, partendo da considerazioni ed esperienze delle Chiese di Piemonte e Valle d’Aosta. La necessità di mettere “punti fermi” nasce, infatti, dalla consapevolezza che sovente alcune celebrazioni liturgiche si caricano di attese improprie, e di “speranze” che poco hanno a che fare con quel clima di preghiera e di comunione che la celebrazione della fede cristiana - soprattutto nella Messa - deve avere e salvaguardare ad ogni costo. Il cammino della fede deve potersi differenziare chiaramente da quei “marketing del sacro” che sono ormai merce comune, anche a causa della rete Internet che trova (apparentemente) risposte facili a ogni domanda, comprese quelle più impegnative riguardanti il senso della vita, e le grandi domande sulla sofferenza - fisica e psicologica. «Come pastori abbiamo il dovere di ammonire i fedeli e le comunità dai rischi di banalizzazione di preghiere che allontanano dalla chiara verità del sacrificio eucaristico; e vogliamo ribadire invece come la sola Eucaristia, il dono più grande che ci è stato fatto, sia il centro della fede e il punto culminante di un cammino, personale e comunitario, cristiano ».

L’osservazione è di monsignor Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino e presidente della Conferenza episcopale piemontese che ha pubblicato il documento. «E l’Eucaristia – ribadisce l’arcivescovo – ha sue regole precise, anche per quanto riguarda le modalità di celebrazione sia della Messa che della AÈ dorazione che ne può seguire, e dei testi delle preghiere prescritte per i malati e sofferenti; regole che non possono e non debbono essere sostituite o modificate in modo arbitrario. Così come non si può e non si deve “scambiare” la celebrazione eucaristica con nessun altro contesto. Non ci sono “preghiere di guarigione” diverse e alternative alle invocazioni previste nei libri liturgici».

L’istruzione dei vescovi piemontesi fa chiaramente riferimento al documento che guida l’agire di tutta la Chiesa in questo settore, le “Istruzioni” emanate dalla Congregazione per la Dottrina della fede nel 2000: ma si è ritenuto di dover specificare alcuni aspetti normativi, per incoraggiare e aiutare tanto i preti quanto le comunità cristiane a non cadere in un “miracolismo” che accentua certi gesti e certe parole ma che rischia di compromettere la sobrietà di quello “stile liturgico” che è invece indispensabile per rimanere in sintonia con il cammino di tutta la Chiesa.

Non si possono inseguire le mode del sacro perché esse si impongono sulla rete, in televisione o in contesti sociali e culturali estremamente diversi dai nostri. In questo senso il documento dei vescovi serve anche a incoraggiare i sacerdoti, e i parroci soprattutto, a mantenere la necessaria fermezza e la capacità di discernimento di fronte alle attese, pure reali, di persone che si trovano nella sofferenza e che cercano conforto e consolazione nella preghiera della comunità cristiana. Non si tratta di un provvedimento “ad personam” verso qualcuno, ma di norme che intendono confortare tutte le comunità cristiane subalpine. Un altro rischio da evitare è quello sottolineato da don Carmine Arice, da noi interpellato, già direttore dell’Ufficio nazionale Cei della Pastorale della Salute e ora superiore generale del Cottolengo: la spettacolarizzazione.

Ricordando la ricchezza dei testi liturgici esistenti e approvati che non sono avari di riferimenti di preghiere di intercessione per chiedere il dono della guarigione, della salute e della salvezza, don Arice sottolinea il pericolo per una comunità cristiana di “rivestire” i momenti di preghiera comunitaria, e quelli dell’Eucaristia in particolare, con le “tinte forti” (voci, colori, gesti) che rischiano, a volte, di evocare più il potere della domanda che non l’invocazione alla misericordia e il dono di Dio.