Auguri da Assisi. «L'anno nuovo ci renda capaci di essere artigiani di pace»
Auguri da Assisi
Viviamo dei giorni, un tempo, contraddittori. Siamo nei giorni di Natale, la festa dell’incontro tra Dio e il suo popolo, la festa della fraternità fra gli uomini, la festa delle luci che risplendono nella notte, simbolo di quella luce – Cristo – che illumina ogni uomo e che per sempre ha donato a tutti quelli che lo accolgono nel cuore il calore e la gioia di scoprirsi amati, perdonati, in maniera incondizionata e infinita, come veri figli di quel Padre che sempre tutto dona e tutti accoglie. Eppure sono i giorni della guerra, delle città e dei villaggi dell’Ucraina in blackout per i continui bombardamenti delle infrastrutture energetiche; dell’odio fratricida che nell’est europeo come in tante altre parti del mondo continua a diffondere l’efficacia di quell’assioma tanto antico quanto crudele: mors tua, vita mea. Tra l’altro tanta ferocia è possibile anche perché in fondo gli artefici di queste continue distruzioni non hanno nessuna esperienza del dolore dei feriti, delle lacrime dei bambini, dello strazio dei morenti e dei superstiti dei bombardamenti. Non possiamo poi dimenticare la barbarie degli abusi sui bambini, della sistematica violenza sulle donne (e non solo purtroppo dove c’è la guerra, ma anche nelle nostre “pacifiche” città e campagne…) e l’aggressività fisica e verbale con cui siamo confrontati ogni giorno, nelle famiglie, come nel vicinato, nei condomini, nelle relazioni professionali, familiari, istituzionali, ecc. Questa non è pace, questo non è Natale, questa non è la promessa di Dio per l’umanità.
La cosa tuttavia che però più di tutte ci rattrista è assistere al contagio del male che – come, anzi peggio del pernicioso virus covid-19 – si diffonde e mette radici nei cuori e nelle menti delle persone, perfino di quelle comuni, delle vittime come anche dei soli spettatori, più o meno conquistati alla causa di una parte… La guerra infatti spegne l’amore nel cuore e lo sostituisce con il rifiuto e con la convinzione che – grazie all’eliminazione dell’altro – saremo più felici, la nostra vita sarà migliore, perché è l’altro il nemico, il cattivo, colui che ha tutti i torti e le colpe… E si tratta di un’esperienza che molti di noi fanno, anche se siamo lontani migliaia di km dalle bombe e dai missili. Cominciamo anche noi facilmente a sognare che quelli che riteniamo cattivi debbano in qualche modo essere umiliati, eliminati, resi impotenti e pensiamo che tutto questo alla fine lo si possa chiamare giustizia.
Questa invasione dell’Ucraina in particolare è una cosa tanto complessa; come ci ha detto papa Francesco, è la guerra mondiale a pezzi. E una guerra mondiale non finisce in pochi mesi purtroppo. Chissà cosa ci aspetta, cosa aspetta il nostro mondo nei prossimi mesi, nei prossimi anni… A cosa dovremo assistere ancora prima che gli uomini abbiano il coraggio di fermarsi e di dire: è troppo, non ha più nessun senso…
Ora, di fronte a tutto ciò sembra che il Natale non sia che una fiaba, che lascia buoni sentimenti e invita a essere più buoni, accoglienti, pazienti o piuttosto un mito, che serve a spiegare l’origine della festa – pressoché commerciale e culinaria.
Oppure il Natale – ed è ciò che la fede ci comunica – è festa perché ci fa fare ancora una volta esperienza che Dio non smette mai di credere in noi, nell’umanità, al punto di farsi uno di noi per essere il fermento di queste donne e uomini che si rinnovano non in base alle loro capacità individuali, ma riconoscendo di essere perduti senza gli altri, senza ogni altro. Il punto di partenza che il Natale di Gesù ci apre è proprio il riconoscimento che abbiamo un grande desiderio – sincero – di amicizia, pace, intesa, ma non siamo capaci, non ci riusciamo, ricadiamo sempre – in un modo o nell’altro, qualche volta in modo molto violenti – nell’esclusione, nel dire: “…senza di lui, senza di lei, senza di loro…, contro di lui, contro di lei, contro di loro”. Riconoscere questa realtà è l’inizio del grido della salvezza, che si accoglie e non si fa. Un grido che – se credenti – rivolgiamo a Dio e – insieme a ogni altro uomo e donna di buona volontà – ci rivolgiamo reciprocamente, perché la pace è artigianale – non ci sono ricette – e si edifica solo insieme, camminando insieme. E paradossalmente da questo punto di vista il cammino stesso è quasi più importante della meta, perché senza cammino non si raggiungerà mai la meta.
San Francesco, in questo senso, è una grande fonte di ispirazione, perché è stato un grande artigiano di pace e riconciliazione nei suoi incontri e nei viaggi. Le fonti, per esempio, lo ricordano predicare il perdono nelle città del suo tempo, travagliate spesso da faide familiari o da conflitti politici intestini. Egli sapeva però che accanto alla preghiera e alla predicazione era poi spesso necessario offrire anche lo spazio per il dialogo, il confronto, che trasformasse le iniziali disponibilità di rappacificazione in un cammino comune di alleanza e sostegno reciproci: un cammino insieme. Ispirandoci proprio a san Francesco, noi frati desideriamo continuare a camminare come fraternità e come fratelli di ogni uomo e donna di buona volontà, che desiderano pace, riconciliazione, giustizia, per sostenerli con la nostra preghiera e soprattutto con la nostra amicizia. Nessuno – e men che meno noi frati – pare abbia la soluzione ai grandi e piccoli (ma talora non meno crudeli) drammi della convivenza umana, dalla violenza domestica – fisica e psicologica – alla ferocia della guerra. Possiamo e desideriamo però condividere con tutti il tesoro che la storia e la provvidenza ci ha affidato: san Francesco stesso, fratello universale, colui che per primo ha fatto la pace mettendo a tacere i demoni del suo cuore, proprio attraverso l’incontro con gli altri, soprattutto con gli scartati, e si è messo a servizio della riconciliazione ponendosi all’ultimo posto, senza rivendicare privilegi, vantaggi o ricompense.
Questa guerra mondiale è una realtà complessa in cui vediamo da un lato anche tanta luce di eroismo, forza, resilienza, onestà, ma anche fitte tenebre di bassezza, crudeltà, barbarie. Ha un’origine lontana e la sua stessa genesi è stata molto articolata. Certo coinvolge – magari anche solo per le sue conseguenze economiche – anche la vita delle nostre città e famiglie; tuttavia peggio ancora è il rischio di abituarci anche alla guerra, limitandoci a dire di tanto in tanto: “poveri bimbi!”…
Dio ce ne scampi! Che non piombi su di noi - come singoli e come società – la disgrazia dell’indifferenza e della superficialità!
Aiutiamoci insieme, piuttosto, nel nome di san Francesco – colui nel cui volto vediamo riflessa l’immagine della bontà stessa di Gesù, nato per noi – a non abituarci al male, all’ingiustizia, alla crudeltà. Si tratta di custodire il cuore inquieto, desideroso di pace vera - che è inseparabile dalla giustizia, diceva san Giovanni Paolo II – per tutti, per le vittime come anche per i responsabili, e di non perdere nessuna occasione. Non perdere l’occasione di condividere in solidarietà – con chi ha bisogno, con chi piange, con chi ha perso la speranza… –, di chiedere allo Spirito santo di continuare – tenacemente e magari per lo più invisibilmente – a operare nelle coscienze delle persone e, soprattutto, di cercare di vivere in prima persona la pace come stile.
Aiutiamoci insieme a cercare di resistere alla tentazione dell’offesa facile e gratuita (perché non c’è nulla che giustifichi il calpestare la dignità altrui) e della menzogna utile a proteggere i propri interessi (perché gli altri hanno diritto a poter credere alla nostra parola); aiutiamoci a essere gentili (perché la cortesia è il calore che riscalda ogni situazione difficile), a compiere gesti di servizio e attenzione gratuita verso chi ci è accanto o entra in qualche modo in relazione con noi.
Non possiamo “spegnere” la guerra con un pulsante, ma possiamo allenarci a vivere la pace e favorire il buon contagio che – speriamo – con il tempo arrivi lontano. Il vaccino contro la guerra siamo noi, se crederemo in ogni uomo e donna come fa lo stesso Dio, come ha fatto san Francesco.
Di cuore, allora, da parte di noi frati della basilica di Assisi, a voi sorelle e fratelli tutti, un felice anno nuovo riscaldato dall’amore e dall’attenzione che ognuno di noi saprà investire nelle relazioni che vive.
Auguri
Buon anno
fra Marco Moroni, OFMConv, custode del Sacro Convento di San Francesco in Assisi