Chiesa

Santa Sede. Zervino: «Io, al Dicastero per i Vescovi porterò la visione femminile»

Antonella Mariani giovedì 14 luglio 2022

Papa Francesco con Maria Lia Zervino

Una sorpresa, un «dono di Dio». Travolta da telefonate, visite e messaggi, dopo la nomina, con altre due donne, due suore, al Dicastero per i Vescovi, la dottoressa María Lía Zervino accetta di rispondere alle domande di Avvenire. Sociologa, argentina, 60 anni, Zervino è la presidente generale di un vastissimo movimento che rappresenta 8 milioni di donne di 100 organizzazioni cattoliche di oltre 50 Paesi del mondo. L’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche (Umofc o in inglese Wucwo) è stata riconosciuta dalla Santa Sede nel 2007 come associazione internazionale di fedeli e in quanto ong ha rappresentanze ufficiali tra gli altri alla Fao, l’Unicef, il Consiglio dei diritti umani dell’Onu e il Consiglio d’Europa.

Dottoressa Zervino, la nomina nel Dicastero per i Vescovi l’ha sorpresa?
Certamente non me lo aspettavo, è un dono di Dio che ci sorprende sempre. Penso che sono stata scelta perché rappresento donne laiche di tutto il mondo. Io sono sociologicamente laica, ma sono una donna consacrata, appartengo all’istituzione Servidoras, che è una associazione di donne consacrate dell’Ordo virginum.

Cosa comporta questo incarico? Perché è importante?
Perché permette a tre donne di essere membri di un organo di governo della Santa Sede, cosa assolutamente inedita nella Chiesa, che sarà arricchita con una visione femminile nel processo di scelta dei vescovi.

Il Papa ha detto più volte che la Chiesa è donna. Qual è il significato di questa affermazione secondo lei?
Significa che la Chiesa è madre e sposa. Se guardiamo alla Chiesa attraverso il principio mariano, vediamo anche la comunione della Chiesa attorno a Maria, Madre di Gesù, Madre della Chiesa nascente a Pentecoste e Madre lungo tutta la storia della Chiesa, nonché Sposa dello Spirito Santo, che guida permanentemente il Popolo di Dio. La Chiesa che evangelizza, che comprende con tenerezza, che insegna con compassione, mostra il suo volto mariano in ciascuna delle vocazioni e missioni ecclesiali.

Cosa può dare alla Chiesa la presenza femminile? E in particolare quella laica?
Non si tratta di occupare incarichi per diventare “come vasi di fiori”, una decorazione, perché va di moda nominare donne, e nemmeno si tratta di arrivare a certi incarichi per “scalare” posizioni di potere. No. Si tratta di servire la Chiesa con i doni che il Padre Creatore ci ha dato: intelligenza e sensibilità peculiari, una affettività e una capacità particolare di sviluppare e formare le persone e una speciale attitudine per la generazione di beni relazionali.

Le donne sono sufficientemente valorizzate, oggi, nella Chiesa? Non solo a livello di Santa Sede, ma di diocesi, parrocchie…
Secondo me, da Querida Amazonia (l’Esortazione Apostolica post-sinodale del 2020, ndr), il Papa ha lasciato nelle mani dei vescovi alcuni dei sogni che noi donne abbiamo di essere valorizzate al servizio della Chiesa. Sono loro che devono scegliere donne idonee per i ministeri come l’ascolto, la direzione spirituale, la pastorale, la salute, la cura del pianeta, la difesa dei diritti umani... tutti ruoli per i quali noi donne, per nostra natura, siamo adatte tanto quanto gli uomini, e a volte persino di più. Non solo donne consacrate, ma quante laiche in tutte le zone del mondo sono già pronte per servire la Chiesa in questo modo!

La sua organizzazione, l’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche (Umfoc), sostiene il diaconato femminile. A che punto siamo su questo tema?
L’Umofc rispetterà quello che il Papa deciderà dopo che riceverà il report della seconda commissione per il diaconato femminile che lui stesso ha istituito.

In Vaticano, anche quando si parla di donne, si legge “il segretario”, “il sottosegretario”, “il direttore”. Secondo lei non sarebbe più utile che questi incarichi venissero declinati al femminile?
Questa è una questione di lingua. In italiano si dice il medico e l’avvocato quando si parla di una donna. A me dispiace perché nella mia lingua che è lo spagnolo, si dice “la medica” e “la abogada”. È sempre una questione di lingua.