Pax Christi. Marcia per la pace sui passi di papa Roncalli, Turoldo e don Tonino Bello
Una delle edizioni precedenti della marcia della pace
Beato chi ha memoria. Non la nostalgia improduttiva, ma i ricordi che sono come semi deposti sulla terra buona. I ragazzi di Pax Christi, riuniti da ieri mattina nel salone del Pime a Sotto il Monte per il convegno nazionale che precede la Marcia di stasera, domenica 31 dicembre, la memoria l’hanno bella fresca. Ragazzi… L’età media è quella chi più può vantare molti ottimi ricordi, ma la verve è da giovanotti.
Sul piedistallo della memoria pongono tre fari: san Giovanni XXIII, il Papa della Pacem in terris; David Maria Turoldo, il sacerdote «servo di Maria» che a lungo soggiornò a Sotto il Monte; e don Tonino Bello (il compianto vescovo presidente di Pax Christi), che dopo aver incontrato Turoldo nel 1985 lo definì "leone incatenato", dalla «grande passione per Santa Madre Chiesa», venendone ricambiato con un «grazie del tuo coraggio, caro fratello vescovo».
In comune avevano «la stessa passione per il Vangelo della pace», ricorda Sergio Paronetto, presidente del Centro studi di Pax Christi. Prima di lui Roncalli, Turoldo e Bello erano stati definiti «i tre profeti legati ciascuno a tre parole: riconciliazione, resistenza e audacia» da Giuliana Mastropasqua, vicepresidente di Pax Christi. E prima ancora era stato il presidente, il vescovo Giovanni Ricchiuti, a parlare di Pax Christi come «popolo della pace che semina speranza». Seminatori. Di un raccolto impossibile? I soliti ingenui "pacifisti"? «Se nulla è impossibile a Dio, possibile è il dono della pace» replica Ricchiuti. Chi ha fede? Chi crede nella pace o chi deride chi ci crede?
In realtà, ci sarebbe almeno un quarto faro: papa Francesco. E, tra i tanti, il suo discorso del primo ottobre scorso agli studenti bolognesi: «Aiutiamoci a "ripudiare la guerra", come afferma la Costituzione italiana, a intraprendere vie di nonviolenza e percorsi di giustizia». È Francesco stesso a evocare un quinto faro, il cardinale Lercaro, che disse: «La Chiesa non può essere neutrale di fronte al male, da qualunque parte esso venga: la sua vita non è la neutralità ma la giustizia».
Paronetto parla chiaro ai 120 soci di Pax Christi che affollano la sala del Pime. Ci sono «contraddizioni dentro la Chiesa, il cui vero tabù è il disarmo, la produzione e il commercio delle armi, mai affrontato in modo solenne». Evoca Bello che diceva: «Il vero dramma della Chiesa è non aver saputo indossare la nonviolenza come unico abito». Non nasconde il "dispetto" per essersi ritrovato san Giovanni XXIII patrono dell’Esercito. Le sue sono parole aspre: «È stata una cattura corporativa e burocratica del Papa». Forse si vuole ammorbidire il magistero di Francesco, ritenuto troppo audace? Comunque il problema è l’Esercito stesso, che dovrebbe essere, secondo Paronetto, una vera forza di pace, dotata di armamento esclusivamente difensivo, posto sotto la guida dell’Onu. Profezia a volte potrebbe far rima con utopia, ma per chi ha fede nulla è impossibile a Dio.
Il vescovo Luigi Bettazzi, primo storico presidente di Pax Christi, cavalca i suoi 92 anni con la consueta brillante ironia, forse solo un poco più morbida rispetto al passato. Giuliana Bonino, già segretaria nazionale, perora la causa nobile della messa al bando delle armi nucleari, creando un vero e proprio movimento d’opinione. Migranti e rifugiati: Betta Tusset e don Nandino Capovilla presentano la campagna «Sulle soglie senza frontiere», con le quattro parole del Messaggio del Papa per la Giornata della pace (accogliere, proteggere, promuovere e integrare), da portare nelle parrocchie avendo come base i 20 punti di azione pastorale indicati dalla Santa Sede (il filmato "Fuori onda" è disponibile su YouTube). Don Virginio Colmegna racconta i suoi 15 anni a Casa Carità a Milano, con il terribile carico di sofferenza («su 100 ospiti, 60 devono ricorrere ai servizi psichiatrici»), e denuncia la bieca manovra di chi «scarica la colpa della paura su chi fa solidarietà». Il giornalista e scrittore Daniele Biella invita: «Tutti a Lesbo», dove 150 isolani hanno fatto più e prima dei governi. Avverte: «Il giusto a volte deve andare al di là della legge per salvare delle vite». Sono tempi strani, in cui si può incorrere nel «reato di solidarietà».