Lo scenario. Santa Sofia, i copti ortodossi: ferita per tutti i cristiani
Il presidente Erdogan immaginava che ne avrebbero parlato tutti, ma forse non si aspettava di tirare su un polverone del genere. Dopo il dolore di papa Fracesco e dopo alcuni giorni di silenzio, anche il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, ha rotto gli indugi e, seppure a modo suo, è intervenuto sulla questione della riconversione di Santa Sofia in moschea. «Nella mia mente – ha spiegato il primo cittadino – Santa Sofia è una moschea dal 1453. Allo stesso tempo è elemento importante nella storia di Istanbul, che ha un valore nel mondo. Più che chiedersi se la decisione sia giusta o sbagliata dobbiamo domandarci che conseguenze avrà». Il sindaco è così riuscito a entrare in un dibattito importante nel Paese, senza scontentare il suo elettorato più conservatore.
Del resto, anche Imamoglu è noto per essere un musulmano devoto e osservante e nei giorni scorsi il suo silenzio aveva attirato più di una critica negli ambienti più laici. Sulla stessa linea di papa Francesco, ci sono i copti ortodossi, che hanno definito la mossa del presidente Erdogan «un evento che ha toccato la comunità dei cristiani in tutto il mondo, ferendola profondente». Ci sono poi le reazioni europee, che vanno al di là del disappunto creato dalla circostanza. I ministeri degli Esteri della UE hanno criticato la mossa di Ankara, consigliando un passo indietro per non aggravare una situazione già molto delicata e che ha portato più di una tensione fra la Turchia e il Vecchio Continente, soprattutto per quanto riguarda le dispute sulle acque attorno all’isola di Cipro, sotto cui ci sarebbero ingenti giacimenti di risorse energetiche. Il ministro degli Esteri, Mevlut Cavusoglu, non si è fatto scappare l’occasione e ha approfittato anche ieri per ribadire che la conversione al culto islamico di Santa Sofia è un affare interno della Turchia. «Respingiamo con forza le affermazioni su Santa Sofia – ha detto il capo della diplomazia turca Mevlut Cavusoglu – costituiscono un’interferenza rispetto alla sovranità nazionale». La vera sorpresa, però, arriva dalla Russia dove, dopo le parole forti del patriarca Kirill la settimana scorsa, ha smorzato parecchio i toni. Il viceministro russo per gli affari esteri, Sergej Verscinin, ha definito tutta la questione di Santa Sofia «un affare interno », sottolineando comunque l’importanza dell’ex museo in tutta la cultura mondiale.
Una dichiarazione che sorprende fino a un certo punto se si considerano i forti legami che intercorrono fra Turchia e Russia in politica estera, soprattutto in capitoli particolarmente importanti come la Siria e la Libia. Putin ha anche una considerevole fetta della popolazione, circa il 10%, di religione musulmana, che da anni Erdogan sta cercando sempre di più di attirare nella sua sfera di influenza. La riapertura di Santa Sofia al culto islamico è prevista per il prossimo 24 luglio, quando verrà celebrata una preghiera solenne alla presenza del presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan e di altri leader politici nazionali. In città c’è un grande fermento per quello che viene considerato un evento epocale. La zona antistante l’ex basilica è transennata e l’ingresso è consentito solo agli addetti ai lavori. Chi deve installare i sofisticati laser che permetteranno di coprire i mosaici solo nelle ore della preghiera e chi deve allestire l’interno con tappeti e renderlo idoneo alle funzioni. La Diyanet, l’Autorità per gli Affari religiosi, sembra particolarmente zelante sotto questo aspetto e da sabato sta lavorando per finalizzare l’allestimento interno.