Chiesa

GUERRA NEL MAGHREB. Libia, le voci del mondo cattolico

lunedì 21 marzo 2011
PAX CHRISTI: AZIONI MILITARI LIMITATE Le azioni militari "siano il più possibile limitate e siano accompagnate da seri impegni di mediazione". È una delle richieste che rivolge Pax Christi Italia, in una nota a firma del suo presidente mons. Giovanni Giudici, a proposito della situazione libica. Il regime di Gheddafi - riconosce Pax Christi - ha sempre mostrato il suo volto tirannico", e già in passato l'associazione aveva preso posizione "sui diritti umani violati in Libia, sulla tragica sorte delle vittime dei respingimenti, su chi muore nel deserto o nelle prigioni libiche". Eppure, aggiunge mons. Giudici, "mentre parlano solo le armi, si resta senza parole". L'organizzazione propone quindi "cinque passi di speranza": da "un cambiamento della gestione della politica internazionale" che dia maggiore spazio alle "misure diplomatiche" a una "polizia internazionale che garantisca il diritto dei popoli all'autodeterminazione", dall'impegno "in ogni ambito possibile di confronto e di dialogo perchè si faccia ogni sforzo così che l'attuale attacco armato non diventi anche una guerra di religione" alla prosecuzione della "campagna per il disarmo contro la produzione costosissima di cacciabombardieri F-35", fino alla richiesta che le azioni militari siano, appunto, "il più possibile limitate".MONSIGNOR MARTINELLI: AVVIARE UNA MEDIAZIONE"Continuo a ripetere che occorre fermare le armi e avviare subito una mediazione per risolvere la crisi in modo pacifico. Perchè non si è data una possibilità alla via diplomatica?". Sono parole di mons.Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, in un'intervista all'agenzia vaticana Fides. "La guerra - sostiene - non risolve niente. Non so come andrà a finire questa nuova guerra che risveglia tristi ricordi nei libici sul loro recente passato. Quando intanto, continua il presule francescano, "Tripoli si sta svuotando: la popolazione fugge per paura dei bombardamenti". Quanto alla situazione dei cattolici, che in maggioranza sono immigrati provenienti dall'Eritrea, "ci stiamo attivando - dice - per trasferire i rifugiati eritrei verso il confine con la Tunisia. Ho parlato con il vescovo di Tunisi per vedere se è possibile accoglierli".LA CARITAS: I BISOGNI SONO DESTINATI AD AUMENTARECaritas Tunisia ha già installato un posto di accoglienza sul confine, in collaborazione con altre Caritas nazionali e in particolare con il sostegno di operatori di Caritas Libano che parlano arabo. È in arrivo anche un gruppo di operatori di Caritas Bangladesh, poiché sono migliaia i rifugiati di origine bengalese in attesa di rimpatrio. Inoltre nel Niger uno staff Caritas si è attivato, per facilitare il rientro a oltre tremila immigrati che sono riusciti ad attraversare il deserto del Sahara. "Caritas Italiana - spiega l'organizzazione - resta in costante contatto con lo staff della Chiesa rimasto in Libia e ne sostiene le attività di assistenza, in particolare a favore degli immigrati, nonostante l'attuale difficoltà nei collegamenti e nel far giungere aiuti diretti. Una prima somma è stata destinata per acquisto di aiuti d'urgenza, ma i bisogni sono purtroppo destinati a moltiplicarsi".