Primo novembre. Gli esempi di santità dei cristiani umili e semplici
Oggi è la solennità di tutti i Santi. Occasione per riflettere non solo sui testimoni della fede riconosciuti ufficialmente dalla Chiesa, ma anche sulla santità umile e semplice di chi, giorno dopo giorno, magari nel nascondimento, ha vissuto la fedeltà al Vangelo nella preghiera e nell’attenzione agli altri. Una solennità, quella del 1° novembre che, cadendo nell’anno del Congresso eucaristico nazionale, ci sollecita a riflettere sul rapporto tra la vita del credente e la partecipazione alla Messa, in cui Cristo si offre nel pane e nel vino per la salvezza dell’uomo.
Il Vangelo di Giovanni non riporta il racconto dell’istituzione dell’Eucaristia, presenta, invece, un’ampia visione teologica del Sacramento dell’altare che ha a fondamento la vita d’amore e di reciproca gratitudine della Santissima Trinità. All’origine vi è il Padre che prima ancora della nascita di ogni creatura, ha amato gli uomini e li ha creati ad immagine del Figlio suo. All’amore originario di Dio, però, l’uomo risponde con l’ingratitudine, con il suo perdersi nei luoghi della lontananza e della dissimilitudine.
L’inspiegabile rifiuto della creatura, però, è soverchiato dalla pronta generosità del Figlio che, nel suo amore di gratitudine verso il Padre, si offre di riportare a casa la pecorella smarrita, l’uomo in- capace di liberarsi dei lacci delle sue passioni. Ed ecco allora, come dice sant’Alfonso de’ Liguori, in uno dei suoi canti più belli e conosciuti: «Tu scendi dalle stelle, O re del cielo, e vieni in una grotta al freddo e al gelo. O Bambino mio divino io ti vedo qui a tremar, o Dio beato! Ah quanto ti costò l’avermi amato!».
Come sappiamo, inoltre, la ricerca della pecorella perduta, ostinata nelle vie dell’egoismo e della chiusura, passa per l’ascesa di Gesù al monte Calvario, per la sua morte in croce e per la sua discesa agli inferi. Lo richiama alla vita nella notte di Pasqua l’abbraccio d’amore del Padre che lo innalza alla sua destra. Di qui egli invia il suo Spirito d’amore, il dono che racchiude tutti i doni, lo Spirito Santo che rende Cristo stesso presente nei Sacramenti, in modo particolare nell’Eucaristia. Dice san Giovanni Damasceno: «Tu chiedi in che modo il pane diventa corpo di Cristo e il vino sangue di Cristo? Te lo dico io: lo Spirito Santo irrompe e realizza ciò che supera ogni parola e ogni pensiero… Ti basti sapere che questo avviene per opera dello Spirito Santo, allo stesso modo che dalla Santa Vergine e per mezzo dello Spirito Santo il Signore, da se stesso e in se stesso, assunse la carne».
Un altro dei passi salienti della riflessione eucaristica del Vangelo di Giovanni è il versetto che racconta del soldato romano che con un colpo di lancia squarcia il costato di Gesù da cui escono sangue ed acqua. Concordemente i padri della Chiesa hanno visto nell’acqua il simbolo del Battesimo, nel sangue il segno dell’Eucaristia. Questi due Sacramenti, peraltro, sono segno della Chiesa, la nuova Eva che nasce dal costato del nuovo Adamo, Gesù. Da qui la convinzione della stretta relazione tra il corpo ferito di Cristo e la sua Chiesa.
Dice il Catechismo della Chiesa cattolica: «L’Eucaristia è anche il sacrificio della Chiesa, la Chiesa che è il corpo di Cristo partecipa all’offerta del suo Capo». Mediante l’unico pane del sacrificio ogni fedele comunica con il corpo di Cristo e con ciò stesso con la Chiesa. Questa unisce tra di loro tutte le membra, nello stesso tempo che le unisce al loro comune capo Gesù Cristo. Racconta sant’Ambrogio del martirio di papa Sisto e del suo diacono Lorenzo: «Quando Lorenzo vide il suo vescovo Sisto condotto al martirio, cominciò a piangere, non sulla morte violenta di lui, ma perché egli stesso voleva seguirlo. Pertanto gli si volse con le parole: “Dove vai, padre, senza il figlio? Dove ti affretti, santo vescovo, senza il tuo diacono? Non hai mai celebrato il sacrificio senza il tuo assistente”».
Il sacerdote, infatti, è in una situazione privilegiata per sperimentare l’amore di Gesù. Scriveva san Pio da Pietrelcina: «Gesù, mio sospiro e mia vita/ Oggi che trepidante ti elevo/ in un mistero d’amore, con te io sia pel mondo/ Via, verità e vita». Un altro tratto caratteristico della teologia eucaristica giovannea è rappresentata dal racconto della lavanda dei piedi con l’invito di Gesù a seguire il suo esempio e ad amare il prossimo. Al riguardo uno dei commenti più belli ci viene dal Libro dell’esperienza di sant’Angela da Foligno. Vi racconta la santa che nel giorno del Giovedì Santo ebbe l’ispirazione di andare all’ospedale nella convinzione che lì avrebbe trovato Cristo tra quei poveri, addolorati e afflitti. Insieme a una compagna vendette del vestiario, con il ricavato comprarono dei viveri cui aggiunsero il loro pane del giorno. Poi andarono all’ospedale, lavarono i piedi alle donne e le mani agli uomini, in particolare quelle di un lebbroso che aveva le mani putrefatte. «Sentimmo tanta dolcezza che percorremmo la strada del ritorno immerse in una grande soavità, come se ci fossimo comunicate. E mi sembrava proprio di essermi comunicata, perché sentivo una gioia suprema, come quando mi comunico».
Ai nostri tempi, tuttavia, abbiamo compreso che la dimensione personale non è più sufficiente, tutta la Chiesa è invitata, come amava ripetere don Tonino Bello, a cingere il grembiule del servizio. Scriveva il vescovo di Molfetta anticipando i tempi e il Giubileo della misericordia: «Gesù si alzò da tavola, depose le vesti, sedette e incominciò a parlare. Si può incominciare a parlare, questo vale per noi, soltanto dopo aver fatto il nostro servizio alla gente. Anche noi presbiteri, configurati a Cristo sacerdote, dobbiamo farci servi per ricapitolare tutte le cose intorno a Cristo capo».