chiesa e omosessualità. Dopo il caso scout. I lettori di Avvenire la pensano così /2
Continua dall'articolo: Chiesa e omosessualità. Dopo il caso scout. I lettori di Avvenire la pensano così
Proseguiamo con la pubblicazione delle lettere arrivate ad Avvenire dopo il caso scout: dubbi e attese.
Dall’intervento dell’arcivescovo Redaelli alle riflessione dell’Agesci e delle altre realtà educative. Tavoli di lavoro (riservati) da parte degli esperti e accoglienza delle persone. Un cammino che incoraggia speranza e suscita dibattiti. Quale svolta per la pastorale? Ecco il punto della situazione, l'analisi di un vescovo e a alcune lettere ad Avvenire
La Chiesa saprà valorizzare anche la mia scelta omosessuale
Caro direttore,
vorrei ringraziarla con tutto il cuore per aver dato spazio ad articoli in cui la condizione omosessuale è vista sotto una nuova luce. Sono nato a Firenze nel 1971, in una famiglia laboriosa e genuinamente cattolica e da sempre ho seguito un cammino di fede, prima in parrocchia, poi nell'associazionismo cattolico. Ma fino al 2005 ho vissuto con un’inquietudine di fondo: vivevo nella certezza di non saper amare. Riempivo le mie giornate di preghiere, attività, volontariato in una continua lotta interiore per raggiungere un riconoscimento e una piena valorizzazione da parte della famiglia e della comunità. Ma era una partita senza fine, perché senza fine era la mia mancanza di autostima. Tutte queste azioni, infatti, erano un bellissimo paravento che nascondevano il mio profondo rifiuto ad accettare il fatto che fossi attratto dagli uomini. Come in tutte le situazioni in equilibrio instabile arriva il momento in cui la vita ti chiede il conto. In quel periodo di crisi mi assillava la domanda: cosa avrà voluto dire Gesù ai suoi discepoli con la frase "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua"? Mettendomi nei loro panni (ignari della resurrezione) mi pareva un invito senza senso. Un sacerdote durante un’omelia mi offrì la chiave di lettura di questo mistero: vista la particolare ignominia del supplizio della croce, Gesù invitava i suoi discepoli a seguirlo pur sapendo che avrebbero potuto perdere la reputazione.
E fu in quel momento di prostrazione che ho conosciuto il volto del Dio di Gesù Cristo, la forza dirompente del perdere la faccia, la profonda libertà che dona la verità di sé. Dio mi ama e mi ha creato così come sono. E poiché l’uomo è creato a Sua immagine, Dio uno e trino, io non posso non amare. Non ho scelto di essere omosessuale (anzi ne ho provate di tutte per cambiare) ma posso e devo scegliere come vivere questa condizione. Credo fermamente di doverlo fare nel seno della Chiesa, che è madre e maestra di umanità, che mi ha donato la vita di fede e mi dona la ricchezza dei sacramenti. Io sono figlio di questa Chiesa, e amo e rispetto coloro che sono chiamati ad amministrare la ricchezza dei doni dello Spirito. Ma sono anche pienamente convinto che in forza del battesimo il Signore mi abbia fatto diventare sacerdote, re e profeta. E come tale, reputando una vera e propria bestemmia rifiutare la sua opera in me, sono chiamato a vivere la totalità del mio essere qui ed ora. Nel 2005 ho incontrato l’uomo con cui sto camminando lungo questi nuovi sentieri, un vero dono di Dio, un compagno con cui ho scoperto la gioia dell’amore e della speranza, della dedizione e della fecondità. Inizialmente non è stato facile, ma dopo dodici anni lui è parte della mia famiglia, come io della sua e anche i nostri rispettivi colleghi di lavoro e i vicini di casa (tra l’altro in una realtà multietnica di provincia) ci hanno accolto come fossimo una famiglia; anche le comunità parrocchiali che frequentiamo ci considerano come tale. So che stiamo percorrendo sentieri nuovi e paradossali, ma so anche che la saggezza della Chiesa saprà valorizzare il buono che c’è in queste esperienze di vita. Reputo “Avvenire” un prezioso strumento di riflessione della Chiesa cattolica italiana, e sono contento di trovarvi uno sguardo amico e di attenzione sulla mia vita. Ringraziandola per aver avuto la pazienza di leggere questo piccolo squarcio di vita vissuta, le porgo i più sentiti saluti e auguri.
Carlo
Ma la vera accoglienza non pretende di stare sempre “al passo con i tempi”
Caro direttore
Caro Luciano Moia,
mi presento: sono padre di un figlio omosessuale e faccio parte della Associazione Agapo (Associazione Genitori e Amici Persone Omosessuali). Ho letto con attenzione i suoi due articoli pubblicati su Avvenire il 12/7/2017 e il 20/8/2017, riguardanti la vicenda, apparsa alle cronache recenti, della richiesta del Parroco di Scanzano di domandare al locale capo Scout Agesci (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani) di dimettersi dai propri ruoli educativi a seguito del proprio “coming out” come gay, essendosi unito civilmente con uomo impegnato politicamente come consigliere comunale. La parola gay qui non è usata in maniera casuale, in quanto essa ha una accezione assai diversa da semplice omosessuale, ma appunto denota una posizione e rivendicazione sociale, politica e antropologica. L’azione intrapresa dal parroco di Scanzano, come era ovvio aspettarsi, ha suscitato reazioni più o meno opposte da tutte le parti.
Riportando le riflessioni del locale Vescovo intervenuto sulla vicenda, Lei giustamente scrive che richieste come queste (e quindi in particolare quella di cui si sta parlando) debbano essere oggetto di “discernimento”, richiamando che è necessario adottare il “criterio di umiltà e di realismo tanto più valido quando non ci si confronta non princìpi astratti, ma con l’intimità dei sentimenti delle persone” ricordando che a tale richiamo invita anche l’esortazione postsinodale sulla famiglia (Amoris Letitiae) di papa Francesco. Tuttavia intravedo il rischio che se ci si limita a dare dei principi astratti e genericamente validi (inattaccabili, appunto), il risultato non è quello trovare percorsi e vie praticabili ma piuttosto quello di generare molti dubbi e poche vie chiaramente praticabili. Infatti è evidente a tutti, e a maggior ragione a noi genitori, che è necessario accostarsi a queste tematiche con un indiscutibile atteggiamento di misericordia, di accoglienza e di comprensione, ma crediamo che sia pure assai utile, se non necessario, dare anche dei criteri ragionevoli e riscontrabili (oserei dire oggettivi) per trovare un percorso e un sentiero percorribile nel discernimento. Devo dire che anche le riflessioni del Vescovo, che Lei riporta ampiamente, mi sembrano essere sulla stessa linea di genericità. Riporto quanto Lei cita “Da qui la necessità di accostarsi a tematiche (come appunto l’amore omosessuale) con umiltà, tanto più «quando si è di fronte a questioni nuove e complesse» sulle quali la riflessione ecclesiale non è del tutto matura e i pareri sono diversi”. Una affermazione validissima, certamente. Ma cosa si intende per riflessione? E quando questa, soprattutto se ecclesiale, può essere considerata matura? Ancora: “Lo stesso criterio che deve adottare l’Agesci – conclude Carlo Roberto Maria Redaelli – che ha la necessità di «proporre oggi determinati valori con un approccio diverso rispetto al passato». Vale in particolare per il tema degli affetti e per altri temi «che fino a poco tempo fa non erano neppure quasi ipotizzabili»”.
Il punto interessante per noi è come queste riflessioni possano essere compiute, e con quale criterio possano essere considerate “ecclesialmente mature” o “sagge e condivise”. Perché se non si indica un criterio percorribile, reale e sensato, si rischia solo di alimentare ulteriormente quella confusione generica con la quale ciascuno pensa di avvalorare la propria tesi, di qualunque parte essa sia, che poi spesso, come sappiamo, rimane ideologica o preconcetta. Cioè non rispettosa della realtà.
Quindi quale criterio per giudicare questo ed altri fatti? Noi riteniamo che sia sempre lo stesso, come anche lei con grande intuizione accenna nel suo articolo: il principio di realtà. E quale è la realtà della condizione omosessuale o più spiccatamente “gay”? Non so se Lei e il Vescovo conoscono bene e intimamente le persone che vivono la condizione della attrazione omosessuale, sia che questa sia sofferta, vissuta di nascosto, indesiderata, rivendicata o ostentata. Quel che posso dire è che noi abbiamo a che fare realmente e tutti i giorni con questo mondo. Cominciamo con il dire che la realtà omosessuale non è per nulla il mondo patinato e irreale presentato tutti i giorni dai media, in cui l’unica sofferenza resa visibile è quella causata dalla presunta e onnipresente “omofobia”. Devo dire che anche le riflessioni del Vescovo, che Lei riporta ampiamente, mi sembrano essere sulla stessa linea di genericità. Riporto quanto Lei cita “Da qui la necessità di accostarsi a tematiche (come appunto l’amore omosessuale) con umiltà, tanto più «quando si è di fronte a questioni nuove e complesse» sulle quali la riflessione ecclesiale non è del tutto matura e i pareri sono diversi”. Una affermazione validissima, certamente. Ma cosa si intende per riflessione? E quando questa, soprattutto se ecclesiale, può essere considerata matura? Ancora: “Lo stesso criterio che deve adottare l’Agesci – conclude Carlo Roberto Maria Redaelli – che ha la necessità di «proporre oggi determinati valori con un approccio diverso rispetto al passato». Vale in particolare per il tema degli affetti e per altri temi «che fino a poco tempo fa non erano neppure quasi ipotizzabili»”.
Il punto interessante per noi è come queste riflessioni possano essere compiute, e con quale criterio possano essere considerate “ecclesialmente mature” o “sagge e condivise”. Perché se non si indica un criterio percorribile, reale e sensato, si rischia solo di alimentare ulteriormente quella confusione generica con la quale ciascuno pensa di avvalorare la propria tesi, di qualunque parte essa sia, che poi spesso, come sappiamo, rimane ideologica o preconcetta. Cioè non rispettosa della realtà.
Quindi quale criterio per giudicare questo ed altri fatti? Noi riteniamo che sia sempre lo stesso, come anche lei con grande intuizione accenna nel suo articolo: il principio di realtà. E quale è la realtà della condizione omosessuale o più spiccatamente “gay”? Non so se Lei e il Vescovo conoscono bene e intimamente le persone che vivono la condizione della attrazione omosessuale, sia che questa sia sofferta, vissuta di nascosto, indesiderata, rivendicata o ostentata. Quel che posso dire è che noi abbiamo a che fare realmente e tutti i giorni con questo mondo. Cominciamo con il dire che la realtà omosessuale non è per nulla il mondo patinato e irreale presentato tutti i giorni dai media, in cui l’unica sofferenza resa visibile è quella causata dalla presunta e onnipresente “omofobia”.
Entrando nel merito del fatto, è necessario analizzare quale messaggio possa dare una guida scout (Agesci) con il suo “coming-out”: probabilmente che la strada della vita gay è praticabile, lineare, giusta, buona, trendy (se si vuole usare un linguaggio più vicino al mondo giovanile) e forse anche facile. E se vi sono delle difficoltà si può sempre ricorrere alla parola omofobia, il ritornello martellante del coro degli articoli che trattano l’argomento. Ma è così? Mi permetto di chiedere a Lei e al Vescovo Carlo Roberto Maria Redaelli, sa di cosa sono fatte le relazioni omosessuali? La durata che hanno? Conosce che tipo di attività sessuali vivono le persone gay nella disperata ricerca, quasi sempre irrealizzata, di trovare il proprio partner della vita, nell’illusione di poter emulare la relazione sponsale tra l’uomo e la donna? Sa a quali situazioni di compromesso si devono ridurre le coppie “più affiatate”, cioè quelle (poche) che superano i 4 anni di durata nella loro relazione? Sa a quali sofferenze tutto ciò porta? Quali dati riportano gli studi statistici su malattie fisiche (e non solo) cui posso essere soggetti gli omosessuali?
Se il criterio semplice e umile è quello di partire dalla realtà, si può forse concludere che quel parroco ha operato con un certo discernimento: infatti una guida scout si pone inevitabilmente come modello educativo per molti ragazzi, e solitamente i gay impegnati si guardano bene dal mettere in evidenza queste problematiche del loro mondo.
Aggiungiamo altri argomenti interessanti al discernimento: sono conosciute nel concreto l’esperienza di “Living Water” nata tra gli Evangelici in America (ed ora diffusa in tutto il mondo), o quella di Courage in ambito cattolico (anch’essa in origine nata negli Stati Uniti), o altre realtà introvabili sui canali di comunicazione ufficiali, quali il Gruppo Lot fondato da Luca Di Tolve, esempio eclatante di ex-gay? Egli è un esempio eclatante semplicemente perché ha reso pubblica la propria storia, ma di per sé è solo uno tra molti casi, dove i più scelgono di mantenere un evidente riserbo su queste tematiche; evidenziando così che l’omosessualità non è una condizione ineluttabile e immutabile. Noi riteniamo che anche sulla base di questa realtà vada fatto il discernimento; e bisogna avere il coraggio di dirlo, altrimenti davvero il discernimento (bellissima parola, evocatrice di altissimi concetti) rimane una astrazione basata sui sentimentalismi.
Mi permetto un’ultima osservazione; in un suo passaggio leggiamo: Non si tratta di rivoluzionare la teologia morale a proposito degli atti omosessuali – compito che in ogni caso non tocca alle associazioni – né di stabilire un nuovo elenco dei permessi e dei divieti. Bensì di affrontare in modo originale e inclusivo, adeguato alle richieste dei tempi, il problema dei percorsi educativi. E allo stesso tempo verificare la possibilità di un approccio che non si riduca più alla normatività sterile del “si può”, “non si può”.
Appare quasi che la teologia morale debba essere tradotta nella realtà concreta a percorsi diversi, appunto “adeguati alla richiesta dei tempi”. Ma la morale teologica (cattolica) è così lontana dai nostri tempi? Dai percorsi concretamente praticabili? Perché piuttosto che ricercare nuovi percorsi “originali”, “adeguati alle richieste dei tempi” (termini molto belli, ma ancora una volta generici e astratti) non si cerca di capire PERCHE’ la teologia morale può dare una risposta effettiva e concreta al tema dell’omosessualità? Perché non si ricerca se questa via sia percorribile, dando finalmente spazio al racconto di chi vive la condizione di attrazione omosessuale secondo tale morale, raccontandone la convenienza, la ragionevolezza, la percorribilità, la bellezza e l’attrattiva? Chi si addentra in questi percorsi si rende conto che la morale teologica, oltre che essere conforme a disegno divino (e qui lasciamo spazio ai teologi per dirlo), è incredibilmente e straordinariamente conforme al cuore dell’uomo. Più che di generici e improbabili equilibrismi per cercare di conciliare morale cattolica con esigenze e pratiche omosessuali abbiamo bisogno di sentire la testimonianza di chi questi percorsi morali autenticamente li vive, con grande serenità e felicità, incomparabilmente più autentica di qualunque altro compromesso.
Queste mie osservazioni non mettono in discussione il desiderio giusto e il lavoro quotidiano di ciascuno per trovare modalità per accogliere e accompagnare persone con tendenze omosessuali. Sappiamo anche quanto questo sia impossibile se non si evita il facile esercizio del “giudicare” e del condannare, usando il metro dei propri parametri morali e del proprio bagaglio esperienziale. Sono però convinto che la vera accoglienza non la si può raggiungere adeguandosi supinamente su posizioni che deviano dalla ragionevolezza della realtà, accettandole come compromesso “al passo con i tempi”. Nel breve tempo si fallirebbe su molti fronti. La vera accoglienza la si ottiene parlando della verità delle cose e raccontando la bellezza di quel che si vive e si è incontrato, che è appunto una promessa di felicità per tutti.
Questi sono i temi che ci stanno a cuore, per noi e per i nostri ragazzi. Speriamo che queste riflessioni possano essere spunto perché il suo giornale o qualche suo articolo possa ospitare qualche nuovo contributo che possa raccontare di questo modo di vivere e affrontare l’omosessualità.
M. Gorlabesti