Una “
donna eccezionale” e una “
maestra di preghiera”, che servì la Chiesa del 16.mo secolo con “audacia missionaria” e che ai religiosi di oggi insegna a essere, sulla sua scia, comunicatori instancabili del Vangelo.
È il ritratto che Papa Francesco fa di Santa Teresa d’Avila in una lettera al preposito generale dei Carmelitani Scalzi, scritta per celebrare i 500 anni della nascita della grande mistica spagnola.
Care consorelle, non perdete tempo a trattare con Dio “interessi di poca importanza” mentre “il mondo è in fiamme”. Basterebbe una frase come questa a dare conto della statura umana e del carisma spirituale di Teresa d’Avila. E in effetti, negli anni in cui la monaca carmelitana percorre la Spagna a dorso di mulo per fondare chiostri su chiostri, dopo aver combattuto il lassismo del suo Ordine riformandolo con una nuova regola dall’interno, la Chiesa è lacerata dallo scisma di Lutero, le corone europee si danno battaglia senza fine e l’Impero ottomano allunga la sua ombra sul Vecchio continente.
Preghiera comunque
Teresa, scrive il Papa, non si limita a essere “una spettatrice” della realtà circostante, ma diventa una “comunicatrice instancabile del Vangelo”, nonostante la salute malferma, e una “maestra di preghiera” per tutte. “Quella di Teresa – scrive in proposito Francesco – non è stata una preghiera riservata unicamente ad uno spazio o ad un momento della giornata; sorgeva spontanea nelle occasioni più diverse”. “Convinta del valore della preghiera continua, benché non sempre perfetta”, la Santa, osserva il Papa, “ci chiede di essere perseveranti, fedeli, anche in mezzo all’aridità, alle difficoltà personali o alle necessità pressanti che ci chiamano”.
Umiltà non è timidezza
E maestra, Teresa di Gesù lo fu anche della vita comunitaria, che sentì il bisogno di modificare per ridare slancio al Carmelo. Perciò, nota Francesco, “il fondamento che pose nei suoi monasteri fu la fraternità”, stando “molto attenta ad ammonire le sue religiose circa il pericolo dell’autoreferenzialità nella vita fraterna”. L’antidoto la futura Santa lo individua nell'umiltà, considerata in modo tutt’altro che generico. “Non è – afferma il Papa – trascuratezza esteriore né timidezza interiore dell’anima, bensì conoscere ciascuno le proprie possibilità e ciò che Dio può fare in noi”, evitando quel “falso punto d’onore”, come lo chiama, che è “fonte di pettegolezzi, di gelosie e di critiche”. L’umiltà teresiana, sintetizza Francesco, “è fatta di accettazione di sé, di coscienza della propria dignità, di audacia missionaria, di riconoscenza e di abbandono in Dio”.
Appello alla “grande impresa”
A cinque secoli dalla nascita, Teresa di Gesù resta per il Papa una “guida sicura e un modello attraente di donazione totale a Dio”. È una “grazia provvidenziale”, riconosce, che l’anniversario cada nell’Anno della Vita Consacrata. Se l’esempio della Santa è per le “comunità teresiane” uno sprone a essere “case di comunione” e segno della “maternità della Chiesa” nel “mondo lacerato dalle divisioni e dalle guerre”, a tutti Teresa di Gesù, conclude Francesco, “apre nuovi orizzonti”: “Ci convoca per una grande impresa, per guardare il mondo con gli occhi di Cristo, per cercare ciò che Lui cerca e amare ciò che Lui ama”.
(Alessandro De Carolis, Radio Vaticana)