Chiesa

Testimoni. Le trappiste arrivano in Portogallo

Giorgio Paolucci venerdì 30 ottobre 2020

Il monastero femminile trappista nelle campagne di Palaçoulo in Portogallo

Nell’Europa che da tempo fa i conti con la secolarizzazione e dove la pratica religiosa continua a diminuire, spunta un germoglio nel segno della fede, fiorito sull’albero millenario della tradizione benedettina. Accade in Portogallo, nelle campagne di Palaçoulo, un villaggio non lontano dal confine settentrionale con la Spagna, dove dieci religiose provenienti dall’Italia daranno vita a una nuova comunità nel monastero di Santa Maria Madre della Chiesa. Appartengono all’ordine femminile cistercense della stretta osservanza – più conosciuto come trappista, il ramo più “rigoroso” della famiglia benedettina – e arrivano dal monastero di Vitorchiano ( Viterbo), che negli anni ha generato altre sette fondazioni a Valserena (Grosseto) e in Argentina, Cile, Indonesia, Venezuela, Filippine, Repubblica Ceca. Il 14 ottobre al termine dell’udienza generale papa Francesco le ha salutate.

Il progetto ha preso forma nel 2017, quando il vescovo della diocesi di Braganca- Miranda, José Cordeiro, ha espresso alla badessa di Vitorchiano, Rosaria Spreafico, il desiderio di ospitare un luogo centrato sulla vita contemplativa e sulla liturgia che testimoniasse la presenza viva e feconda di Cristo. La tradizione monastica ha radici profonde nella storia del Portogallo, ma sono passati ormai 130 anni dall’edificazione dell’ultimo monastero e quello di Palaçoulo sarà il primo appartenente alla tradizione trappista. Alla richiesta del vescovo, presentata nell’anno centenario delle apparizioni di Fatima, si è aggiunto un segno provvidenziale: su proposta del parroco, i contadini di Palaçoulo hanno regalato alcuni appezzamenti dei loro terreni per un’estensione totale di 28 ettari, destinati a diventare il luogo in cui sarebbe sorto il monastero.

La costruzione è ancora in corso sotto la direzione dell’architetto Pedro Calado di Lisbona che ha progettato un complesso che potrà ospitare quaranta religiose, ma già alla fine di ottobre le dieci “fondatrici” andranno a vivere nella foresteria ormai ultimata. Da tempo a Vitorchiano hanno cominciato a pregare insieme in lingua portoghese e lavorano al perfezionamento del progetto. Sono una squadra eterogenea per età – dai 36 anni di suor Alice agli 83 di suor Augusta – e competenze: c’è chi si occuperà della liturgia (una dimensione molto curata nella tradizione trappista), della musica, della traduzione in lingua portoghese degli inni di Vitorchiano (recitati e cantati anche in molti luoghi lontani dalle mura dei monasteri), di attività agricole e artigianali.

A Palaçoulo verranno prodotte le marmellate – una specialità che ha fatto conoscere a molti il “marchio” e la storia di Vitorchiano – il limoncello e una chicca gastronomica: grazie ai cinquecento alberi di mandorlo ottenuti da una donazione si produrranno dolci a base di pasta di mandorle, confezionati con ricette italiane e modulati secondo il gusto dei portoghesi. Il progetto del monastero prevede un chiostro centrale sul quale si affacciano i luoghi tipici della Regola benedettina: la chiesa, il capitolo, lo scrittorio e il refettorio. Al piano inferiore gli ambienti di lavoro, al primo piano le celle. Per la conclusione dei lavori sono necessari altri fondi, che possono essere versati utilizzando l’Iban IT28J0521614501000000080099, causale “Donazione per Fondazione in Portogallo”. Info: mãeigreja2018@gmail.com, tel. 0761370017. Suor Annunziata, una delle fondatrici, nella sua vita ha già incrociato il Portogallo: «Lì ho trascorso le ultime vacanze prima del mio ingresso a Vitorchiano nel 1997, in quei giorni avevo visto la bellezza di tanti monasteri ridotti a luoghi d’arte e cultura sotto il patrocinio dell’Unesco. In pellegrinaggio a Fatima, avevo percorso in ginocchio l’ultimo tratto del cammino che porta alla cappella delle apparizioni, pregando la Madonna perché sostenesse la mia vocazione.

Quando la madre superiora ha chiesto a tutte le consorelle di manifestare l’eventuale disponibilità a partire per il Portogallo ho detto il mio sì, è stato come riconfermare quello pronunciato quando sono entrata in monastero. È un “sì” a Dio che ci chiama a servirlo in ogni circostanza: la nostra vocazione è per il mondo». Monache contemplative e missionarie: dietro un apparente paradosso sta la realtà di un luogo come Vitorchiano, dove in questi anni sono arrivate molte giovani donne affascinate da una proposta esigente fatta di preghiera personale e comunitaria, silenzio e lavoro dentro una clausura rigorosa. Un segno di speranza per un mondo che oggi più che mai ha bisogno di testimoni credibili.