Cortina di Ferro. Le spoglie del cardinale Beran tornano a Praga
Una significativa immagine dell'arcivescovo Beran mentre taglia un tronco d'albero
Martire della Chiesa del silenzio e testimone al lager di Dachau
Da quasi cinquant’anni, per volere del beato Paolo VI, il cardinale ceco Josef Beran (1888-1969), riposa nella Basilica di San Pietro a Roma ma presto le sue spoglie mortali torneranno “a casa” nella sua amata Praga. Una figura riconosciuta da tutti come un martire della Chiesa del silenzio durante il regime comunista in Cecoslovacchia (per ben 14 anni) e ancora prima come uno degli ultimi testimoni sopravvissuti al lager nazista di Dachau.
Nei giorni scorsi Pavel Vosalik, ambasciatore della Repubblica Ceca presso la Santa Sede ha consegnato la richiesta di traslare le spoglie del cardinale nella Repubblica Ceca direttamente nelle mani del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano. Una richiesta dettata dal fatto che Beran voleva essere sepolto nella nativa Plzen, o a Praga, di cui fu arcivescovo dal 1946 al 1969. E proprio solo pochi giorni fa, il domenicano arcivescovo di Praga il cardinale Dominik Duka ha annunciato che le spoglie arriveranno in aprile, e saranno tumulate nella Cattedrale di San Vito, nella tomba degli arcivescovi, quasi a “guarire” in questo modo la ferita inferta- in un luogo simbolico- come la Chiesa madre dei praghesi in cui fu interrotta e sospesa la festa del Corpus Domini del 1949 ad opera della Polizia di Stato comunista.
Si sta anche studiando ora l’ipotesi ¬ secondo quanto riporta l’agenzia AciStampa - di custodire parte dei resti a Roma – dove la sua tomba è tra i luoghi più visitati – e l’altra parte a Praga.
L'atteso ritorno nella sua amata Praga ad aprile
Di certo, tutti ora nella Repubblica Ceca attendono il ritorno delle spoglie del porporato, uno dei martiri della Chiesa del silenzio, che aveva trascorso tre anni nei lager nazisti e 14 anni segregato dalla persecuzione comunista – anni durante i quali san Giovanni XXIII lo creò cardinale in pectore. Proprio nel periodo a cavallo del Vaticano II segnano la svolta per l’allora primate di Cecoslovacchia: il regime di internamento si attenua solo nel 1963, dopo una lunga trattativa tra Santa Sede e il governo di Praga, monsignor Beran ha il permesso di partecipare al Concilio Vaticano II nel 1965, a condizione di non tornare più. E’ l’esilio. Il 22 febbraio dello stesso anno riceve da Paolo VI la berretta cardinalizia. Significativa la scelta di Beran, durante l’assise conciliare, di intervenire su un tema chiave per la sua vita come la libertà di coscienza. Da quella data comincia per il cardinale ceco un’incessante attività di incontri con i connazionali in Europa e Oltreoceano. Proprio nell’ultimo arco della sua vita si rivolge attraverso la Radio Vaticana ai fedeli che sono oltre la Cortina di Ferro, promuove la pubblicazione di libri e riviste per i cattolici cechi. Il regime però non smette di tenerlo sotto controllo neanche a Roma, visto che, come emerge dalle ricerche dello storico gesuita americano Robert Graham, nel 1965 viene ordinato sacerdote nel Pontificio Collegio Boemo Frantisek Kuncik, che in realtà è un agente della Stb – i servizi segreti cecoslovacchi – con il compito di controllare Josef Beran.
Per Paolo VI fu un «martire della fede»
Muore il 17 maggio 1969, a causa di un tumore che si era aggravato improvvisamente. Papa Montini appresa la notizia della sua morte imminente arriva al suo letto pochi istanti dopo . In segno di riconoscenza il Pontefice bresciano decide la sua sepoltura nelle Grotte vaticane vicino alla tomba di San Pietro e presiede personalmente al rito di congedo durante le esequie. Proprio in quel frangente Paolo VI definirà Beran un «martire della fede» . La causa di beatificazione di Beran è stata aperta nel 1998, perché tutte le testimonianze sulla sua vita parlano della sua profonda spiritualità e umiltà.