Sinodo. Credenti gay, un cammino alla luce delle indicazioni arrivate da Francesco
Aula Paolo VI: un momento dei lavori del Sinodo, entrati ormai nell’ultima settimana
«Come possiamo creare spazi in cui coloro che si sentono feriti dalla Chiesa e sgraditi dalla comunità possano sentirsi riconosciuti, accolti, non giudicati e liberi di fare domande? Alla luce dell’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, quali passi concreti sono necessari per andare incontro alle persone che si sentono escluse dalla Chiesa in ragione della loro affettività e sessualità (ad esempio divorziati risposati, persone in matrimonio poligamico, persone LGBTQ+, ecc.)?” (Instrumentum laboris, B, 1.2)
È una delle tante questioni su cui il Sinodo si è confrontato in questi giorni. Lo spirito non è stato quello di individuare una ricetta buona per tutti gli usi perché alcune questioni appaiono divisive, su altre il dibattito teologico che si interroga a proposito delle dinamiche tra amore e verità, appare ancora lontano dall’assumere una posizione condivisa. Allora occorre avere la capacità di vivere un apparente paradosso: «Proclamare con coraggio il proprio insegnamento autentico e allo stesso tempo offrire una testimonianza di inclusione e accettazione radicale».
Va detto che su alcune questioni complesse, come appunto l’accoglienza delle persone LGBT+ (usiamo l’espressione dei documenti sinodali) definire l’insegnamento autentico è un percorso tutt’altro che facile. Elementi di discontinuità sono stati introdotti dallo stesso papa Francesco che, pochi giorni prima dell’inizio del Sinodo, rispondendo ai Dubia posti da alcuni cardinali a proposito dell’opportunità di concedere una benedizione alle coppie gay, ha spiegato che, se non bisogna confondere il matrimonio sacramentale con altre forme di unione che lo realizzano solo «in modo parziale e analogico», tuttavia, «nel rapporto con le persone, non si deve perdere la carità pastorale, che deve permeare tutte le nostre decisioni e atteggiamenti. La difesa della verità oggettiva non è l'unica espressione di questa carità, che è anche fatta di gentilezza, pazienza, comprensione, tenerezza e incoraggiamento. Pertanto, non possiamo essere giudici che solo negano, respingono, escludono».
Possibile quindi concedere quanto richiesto alla luce di una prudenza pastorale che «deve discernere adeguatamente se ci sono forme di benedizione, richieste da una o più persone, che non trasmettano un concetto errato del matrimonio» Perché non si deve negare il conforto di una benedizione alle coppie omosessuali? Il Papa lo spiega con grande chiarezza: «Perché quando si chiede una benedizione, si sta esprimendo una richiesta di aiuto a Dio, una supplica per poter vivere meglio, una fiducia in un Padre che può aiutarci a vivere meglio». E a proposito della situazione di “irregolarità” in cui vivrebbero le coppie gay che chiedono la benedizione, papa Francesco chiarisce, riprendo un concetto già espresso in Amoris laetitia: «D'altra parte, sebbene ci siano situazioni che dal punto di vista oggettivo non sono moralmente accettabili, la stessa carità pastorale ci impone di non trattare semplicemente come “peccatori” altre persone la cui colpa o responsabilità può essere attenuata da vari fattori che influenzano l'imputabilità soggettiva (Cfr. san Giovanni Paolo II, Reconciliatio et Paenitentia, 17)».
E quindi? Via libera alle benedizioni in modo indiscriminato alla luce di una nuova normativa introdotta appunto da queste risposte? No, anche in questo caso occorre discernere caso per caso: «Le decisioni che, in determinate circostanze, possono far parte della prudenza pastorale, non devono necessariamente diventare una norma. Cioè, non è opportuno che una Diocesi, una Conferenza Episcopale o qualsiasi altra struttura ecclesiale abiliti costantemente e ufficialmente procedure o riti per ogni tipo di questione, poiché tutto ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma» perché questo «darebbe luogo a una casuistica insopportabile» (Amoris laetitia 304). «Il Diritto Canonico non deve né può coprire tutto, e nemmeno le Conferenze Episcopali con i loro documenti e protocolli variati dovrebbero pretenderlo, poiché la vita della Chiesa scorre attraverso molti canali oltre a quelli normativi».
Qualcuno ha parlato di svolta rispetto al Responsum (15 maggio 2021) in cui la Congregazione per la dottrina della fede aveva vietato la benedizione delle coppie omosessuali. Forse è meglio parlare di sviluppo coerente con quanto già affermato in Amoris laetitia, a proposito della necessità di «assicurare un rispettoso accompagnamento, affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare la volontà di Dio nella loro vita» (Al, 250). Difficile infatti sostenere che anche una benedizione, se richiesta con cuore sincero e desiderio di accoglienza, non possa diventare un “aiuto necessario” nel proprio cammino di fede.
Ma quanto spiegato da papa Francesco a proposito dell’accoglienza alle persone LBGTQ+ si comprende meglio alla luce dei suoi tanti interventi sul tema, a partire dall’ormai celebre «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?». (28 luglio 2013). Per proseguire con la richiesta di scuse agli omosessuali (26 luglio 2016) e all’appello rivolto ai genitori perché non condannino mai un figlio omosessuale (26 agosto 2018). E poi – tra tanti altri interventi – non va dimenticata la risposta data a un gruppo di genitori con figli LGBT+ dell’associazione Tenda di Gionata al termine dell’udienza in piazza San Pietro: «Il Papa ama i vostri figli così come sono, perché sono figli di Dio» (16 settembre 2020). Fino all’invito ai vescovi che sostengono leggi che criminalizzano l'omosessualità o discriminano la comunità gay a «fare un processo di conversione».
Certo, sono risposte informali, interviste che se formalmente non possono essere definiti “magistero autentico” (a parte il paragrafo di Amoris laetitia), rappresentano però in modo inequivocabile il pensiero sul tema di papa Francesco, nella logica di una misericordia pastorale che, come ha spesso ripetuto, ha come obiettivo quello di permettere a tutti – nessuno escluso – di partecipare alla vita della Chiesa.
Ora tocca al Sinodo, alla luce di un percorso che in dieci anni di pontificato si è dipanato in modo coerente, individuare quali “spazi” aprire e quali “passi concreti” compiere perché nessuno più debba sentirsi escluso dalla comunità ecclesiale per il proprio orientamento sessuale o per la propria identità di genere. Dall’accoglienza all’integrazione. Anche questo, in qualche modo, un passaggio segna che un’epoca nuova della Chiesa.