Chiesa

La testimonianza. «In Ucraina le nostre chiese sono già rifugi per tutti»

Giacomo Gambassi, inviato a Firenze venerdì 25 febbraio 2022

Alcune persone davanti a una palazzina attaccata da un missile a Koshytsa Street, periferia della capitale ucraina Kiev

A tratti si commuove. «Sono scosso», confida don Andriy Soletskyy mentre accanto ha la valigia pronta. È il rappresentante a Roma dell’arcivescovo maggiore della Chiesa greco- cattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk, che doveva partecipare all’Incontro dei vescovi del Mediterraneo in corso a Firenze. «Ma ha scelto di restare a Kiev accanto al nostro popolo in un momento così tragico. E in queste ore si trova in uno spazio anti-aereo sotto la Cattedrale della Resurrezione insieme con tante altre persone», spiega il sacerdote che al forum per la pace ha portato le tensioni all’interno del suo Paese. Ma quando ieri è iniziato l’attacco russo, ha lasciato la Toscana per far rientro nella Capitale e tessere un filo diretto Oltretevere. «Siamo in mezzo a una guerra da otto anni – afferma –. Tuttavia quello che avviene adesso è lo scenario peggiore».

Don Andriy Soletskyy, il rappresentante in Italia dell’arcivescovo maggiore della Chiesa greco- cattolica ucraina, Sviatoslav Shevchuk - Avvenire

Racconta che le parrocchie sono già rifugi per ripararsi dai bombardamenti. «Era accaduta una cosa simile nel 2014 durante la “rivoluzione della dignità” quando ad esempio la Cattedrale era diventata un ospedale di campo. Siamo già pronti ad aprire le chiese e le strutture pastorali per metterle a servizio della popolazione inerme. Sono già migliaia gli sfollati interni dalle cosiddette “zone grigie”, ossia dalle autoproclamate Repubbliche indipendenti di Donetsk e Lugansk. Come comunità cristiana faremo tutto il possibile di fronte a quella che consideriamo una vera e propria invasione». Chiama l’arcivescovo maggiore “Sua Beatitudine”. «È stato svegliato dalle esplosioni», dice don Soletskyy. E subito aggiunge un concetto che Shevchuk ha già accennato: «L’Ucraina paga con il sangue dei suoi figli la difesa dei valori europei in cui ha scelto di credere».

Era immaginabile che la situazione precipitasse in una notte?

I presupposti c’erano tutti. E poi conosciamo con chi abbiamo a che fare. Il nostro Paese ha sempre ritenuto che l’unica via d’uscita sia la diplomazia. Ma adesso da parte russa c’è solo silenzio: un silenzio diplomatico che lascia il posto al linguaggio delle armi.

La Chiesa cattolica c’è. Come essere vicini alla gente?

La popolazione è già nel panico. Questi anni di conflitto latente ci hanno insegnato a gestire i bisogni urgenti. Abbiamo una rete di solidarietà promossa dalla Caritas che funziona bene. Aggiungo che anche a livello morale e psicologico la voce della Chiesa è importante per tenere viva la speranza e richiama a essere solidali l’uno con l’altro.

La crisi è entrata nell’agenda dell’Incontro di Firenze.

Siamo molto grati alla Chiesa italiana e alle Chiese del bacino per la loro prossimità a tutta la popolazione. E ci fa piacere che in un evento ecclesiale dedicato alla pace l’Ucraina abbia la necessaria attenzione. Ci occorre veramente il sostegno della comunità internazionale.

Dai vescovi del Mediterraneo è arrivato l’appello a fermare la guerra che viene definita «una follia».

Nel cuore dell’Europa si sta creando «un campo di morte », ha detto Sua Beatitudine. Non si tratta solo di un conflitto per qualche territorio o qualche interesse: è una sfida al mondo occidentale.

Il Papa ha promosso una giornata di digiuno e preghiera. E si moltiplicano i momenti di preghiera, come è accaduto anche a Firenze.

Siamo gente di fede e crediamo che la preghiera sia la nostra forza, ben più potente delle bombe. Ma vorremmo che a pregare per la pace in Ucraina siano tutti i cristiani: anche i nostri fratelli ortodossi in Russia e i nostri fratelli ortodossi del patriarcato di Mosca che vivono in Ucraina. Sarebbe un gesto tangibile e forte.