Intervento. Monarchia o democrazia? No: la Chiesa è un alveare
Il mondo delle api ha saputo ispirare la riflessione dei Padri della Chiesa
Da sempre l’uomo è affascinato dalla natura perché essa vive secondo regole ben precise che hanno l’obiettivo di ristabilire l’equilibrio dopo eclatanti catastrofi. Questa straordinaria caratteristica si evince, in particolare, osservando un alveare, che colpisce anche per l’instancabile lavoro che compie, affinché si rinnovi la vita di giorno in giorno.
Nell’immaginario collettivo l’ape regina è una monarca in senso stretto: impartisce ordini ai suoi sudditi che da bravi operai(e) eseguono. In realtà una colonia di api è più vicina a una democrazia che a una monarchia. Per quanto, infatti, con i suoi feromoni, l’ape regina sia in grado di influenzare alcuni comportamenti delle sue operaie, queste sono capaci di prendere decisioni a maggioranza senza consultare la regnante. Un esempio è la scelta del sito verso il quale la famiglia sciamerà, una decisione nella quale ogni operaia è chiamata ad esprimere il proprio voto.
Cos’è un monarca senza i propri sudditi? Nulla. Questo vale anche per l’ape regina, costantemente circondata da un gruppo di ancelle che si occupano di tenerla pulita, in ordine, ma anche di sfamarla digerendo il cibo per lei. Essa ha il ruolo importante di deporre le uova e non è dotata delle stesse ghiandole che le operaie usano per digerire il cibo. Per nutrirla, le sue ancelle le forniscono cibo predigerito. Se non avesse le sue fedelissime api a servirla, l’ape regina non potrebbe sopravvivere un giorno.
L’alveare è diventato così nel tempo metafora cristiana della vita casta, caritatevole e regolata della comunità ecclesiale. I Padri della Chiesa, sempre sensibili alle metafore tratte dalla vita quotidiana e dalla natura, reinterpretando e arricchendo il linguaggio biblico, hanno paragonato il mondo misterioso delle api e del loro bene prezioso alla nuova realtà della Chiesa, che celebra e vive il mistero del dono della salvezza in Cristo. E le prime comunità cristiane hanno compreso molto bene il loro insegnamento, ne hanno colto la profondità avendo davanti agli occhi il mondo affascinante delle api, delle loro arnie e del miele.
L’immagine dell’alveare pone innanzitutto l’accento sulla comunione che esprime il mistero stesso della Chiesa. Il cuore e la fonte di questa comunione è il Cristo, paragonato all’ape regina. Le api vivono nella comunità e per questo i Padri le interpretano non solo come modello della vita sociale, ma soprattutto come modello per la vita della Chiesa.
Sant’Atanasio per esempio scriveva: «Ora la Chiesa è l’ape. Produce il miele perché apprezza molto la sapienza di Dio. Grazie al suo lavoro i re e anche la gente semplice si guariscono, benché siano deboli. Il messaggio della Chiesa non si basa su discorsi persuasivi di sapienza (cf. 1Cor 2,4). La sua parola è il suo aculeo che testimonia la forza e la potenza di Dio. Con l’aculeo può servire per mettere via le eresie…» (Commento al Salmo 117,12).
Nella letteratura patristica l’ape è anche simbolo, diremmo oggi, dell’economia di comunione perché lavora per gli altri; è il simbolo della sapienza e dell’abilità perché è capace di scegliere dai fiori quello che è più prezioso, e viene considerata come esempio di condivisione per i profeti, per gli apostoli e per i predicatori perché il miele che dà alla gente è lo stesso miele del quale si nutre lei stessa, così come gli annunciatori del Vangelo dovrebbero nutrire se stessi innanzitutto della Parola di Dio. L’ape si propone come modello di sapienza perché nel prato in piena fioritura raccoglie il polline da fiori diversi.
Gregorio Nazianzeno presentava l’ape come emblema di laboriosità e capacità di discernimento di ciò che è utile. In particolare paragonava l’annuncio della Parola di Dio, e soprattutto il sentirlo nel corso della lunga liturgia pasquale, a un prato in piena fioritura nella quale noi, come le api, possiamo volare. Il prato è così immensamente vario come la stessa Scrittura che contiene la piena conoscenza di Dio.
Si nota dunque come l’ammirazione per la natura guidava all’estasi della contemplazione gli uomini che univano la cultura alla fede. La comunità delle api, diceva sant’Ambrogio, era il modello esemplare della comunione tra i credenti e della concordia tra cittadini. E con stupore faceva notare: «Quale architetto ha insegnato loro a costruire gli esagoni delle cellette dai lati perfettamente simmetrici? Le potresti vedere tutte compiere a gara le loro funzioni: alcune dedicarsi premurose alla ricerca del cibo, altre esercitare un’attenta vigilanza sull’accampamento, altre spiare l’avvicinarsi delle piogge e osservare l’accumularsi delle nuvole, altre formare dai fiori la cera, altre raccogliere con la bocca la rugiada spruzzata sui fiori; nessuna tuttavia insidiare il lavoro altrui e procurarsi i mezzi per vivere rapinando» (Exameron. I sei giorni della creazione, Omelia VIII, 323).
Durante le omelie quaresimali del 378, anche san Basilio, trattando della creazione del mondo, e in specie dei volatili, indugiava sulla vita delle api: «Fra gli animali ve ne sono alcuni che vivono in società, se è proprio della vita sociale far convergere a uno scopo comune l’attività dei singoli, così come si può vedere nelle api. Esse vivono in comune, volano insieme e unico è il lavoro di tutte; e la cosa più straordinaria è che intraprendono le loro attività sotto la guida di un loro re e comandante, e non si decidono a volare sui prati prima di vedere il loro re volare alla loro testa» (Omelia sulla Genesi, VIII, 4,1-9).
Grazie alla penna di Tommaso d’Aquino, la liturgia latina ha ufficialmente consacrato il miele a simbolo dell’Eucaristia, prendendo come Introito della Messa del Corpus Domini le parole: «Li ha nutriti con la migliore sostanza del frumento, li ha saziati col miele dalla pietra», trasposizione di un versetto del Salmo 81: «Lo nutrirei con fiore di frumento, lo sazierei con miele dalla roccia».
Di api e di miele si parla poi nel canto liturgico dell’Exultet, che viene intonato dal diacono nel corso della solenne veglia pasquale nella notte del Sabato santo. Citando l’ape madre, il Preconio vuole marcare uno degli aspetti fondamentali della celebrazione pasquale: la vita nella comunione. È chiaro il riferimento simbolico: come nell’alveare si manifesta il miracolo della vita, così nella notte di Pasqua la Chiesa celebra il trionfo di Cristo sulla morte; inoltre come le api operaie hanno raccolto la cera, così le mani dell’uomo hanno modellato la cera per la realizzazione di questo nuovo cero, simbolo della luce di Cristo.
Va ricordato, infine, che l’ape è anche modello monastico della lectio divina! Come essa sugge il nettare dai fiori e si ritrae nella propria cella, così il monaco raccoglie le parole della Scrittura per ritirarsi in meditazione.
In questo tempo in cui la Chiesa sta celebrando la seconda sessione della XVI Assemblea Generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, come i Padri della Chiesa, allo stesso modo noi siamo invitati a guardare con sguardo sempre nuovo la realtà che ci circonda e nella quale viviamo, per rintracciare i segni della presenza di Dio, che ci parla anche attraverso l’immagine dell’alveare.
Una Chiesa sinodale ha in fondo molto da imparare dall’industriosa collegialità delle api, abili nello sciamare in perfetta armonia. Come un alveare, così i membri della Chiesa sono chiamati a lavorare insieme, anche nelle difficoltà e diversità. La Chiesa in fondo assomiglia a un’arnia dove le api (i cristiani) lavorano con zelo e fedeltà ricercando, ed ottenendo, il meglio da ogni fiore: il miele, l’“amore di Dio”.
docente di esegesi biblica presso l’Istituto Teologico Abruzzese Molisano e l’Istituto superiore di Scienze religiose di Pescara