«L’unica grandezza nella Chiesa è di essere santi. E i suoi santi sono le colonne di luce che ci mostrano la via... d’ora innanzi apparterrà anch’egli a queste luci. E ciò che ci fu concesso solo per 33 giorni emana una luce che non può più venirci tolta». Era il 6 ottobre 1978 e l’allora arcivescovo di Monaco e Frisinga, cardinale Joseph Ratzinger, nell’omelia del Pontificale in suffragio di Giovanni Paolo I ne ricordava così l’esemplarità illuminante.
Nel settembre 1977, un anno prima della sua morte, anche l’allora patriarca di Venezia, Albino Luciani, citava il cardinale Ratzinger in un’omelia nella quale parlava della santità e della vera comunione della Chiesa nella carità: «Pochi giorni fa mi sono congratulato con il cardinale Ratzinger, egli ha avuto il coraggio di proclamare alto che “il Signore va cercato là dov’è Pietro”. Ratzinger m’è parso in quell’occasione profeta giusto – affermava – non tutti quelli che scrivono e parlano oggi hanno lo stesso coraggio; per voler andare dove vanno gli altri, alcuni di essi accettano solo con tagli e restrizioni il Credo pronunciato da Paolo VI alla chiusura dell’Anno della fede; criticano i documenti papali; parlano continuamente di comunione ecclesiale, mai però del Papa come punto necessario di riferimento per chi vuole essere nella comunione vera e santa della Chiesa.
Altri, più che profeti – continuava Luciani – sembrano dei contrabbandieri; approfittano del posto che occupano, per smerciare come dottrina della Chiesa quello che è, invece, loro pura opinione personale».
Sempre Ratzinger nella liturgia in suffragio di papa Luciani un anno dopo ebbe a dire: «È stato sepolto il giorno di san Francesco d’Assisi, l’amabile santo al quale era così simile». E come san Francesco nella Chiesa dei suoi tempi, che aveva bisogno di molta riforma, egli aveva imboccato il metodo giusto della riforma»: «Amore appassionato a Cristo. Vivere come lui, di lui, applicando il Vangelo, aderire a lui come fosse presente, è stato il suo programma».
Il breve pontificato di Albino Luciani non è stato perciò il passaggio di una meteora che si spegne dopo breve tragitto. È invece tuttora segno ed esempio luminoso di quella continuità di speranze che vengono da lontano e che affondano le radici nel mai dimenticato tesoro di una Chiesa antichissima, senza trionfi mondani, che vive della luce riflessa di Cristo, vicina all’insegnamento dei grandi Padri e alla quale era risalito il Concilio. Nel quale si sono espresse, con essenzialità evangelica, le priorità di un Pontefice che ha fatto progredire la Chiesa lungo la dorsale di quelle che sono le strade maestre indicate dal Concilio: la risalita alle fonti del Vangelo e una rinnovata missionarietà, la collegialità nella fraternità episcopale, il servizio nella povertà ecclesiale, il dialogo con la contemporaneità, la ricerca dell’unità con i fratelli ortodossi, il dialogo interreligioso, la ricerca della pace. È qui che va riconsiderato lo spessore della sua opera.
È qui che va ripresa la valenza storica del suo pontificato e della sua santità. Luciani è un Papa attuale. E la sua grandezza è ancora tutta da riscoprire, per ricomprendere anche il presente. La sua causa di canonizzazione è stata l’inizio di questa riscoperta. Un lavoro di ricerca e di elaborazione enorme che riveste importanza anche dal punto vista storiografico, data la scarsità di contributi scientifici prodotti sulla vita e sulla sua opera. Una ricerca sulle fonti mai compiuta prima, che è stata condotta senza cedere alla fretta, col passo rigoroso del metodo storico- critico per una riconsegna doverosa alla memoria di Giovanni Paolo I. Oggi, alle 9, il cardinale Beniamino Stella, postulatore della causa di canonizzazione, celebra l’Eucaristia nelle Grotte vaticane in memoria di Giovanni Paolo I che morì il 28 settembre 1978.
Luciani non fu ucciso. È stato ucciso post mortem dall’assordante silenzio di quanti non hanno potuto trarre vantaggi personali in termini di potere, onori, fama e gloria dal suo fugace passaggio, dalla sua limpida e scarna testimonianza evangelica. Dal sussiego di un oblio storico e storiografico perché sfuggente agli incasellamenti, ai riscontri in chiave ideologica di quanti allora, come oggi, confrontano gesti e parole con la tabella dei valori stabiliti dai progressisti o dai conservatori.
È stato ucciso post mortem dal ridicolo accredito a certa fumettistica noir che ha speculato su una damnatio memoriae per la quale valgono le parole di Cristo agli scribi e ai farisei: “Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre”. Dalla morte di Giovanni Paolo I una fama di santità e di segni non artefatta, non montata, si è diffusa sempre più in crescendo spontaneamente e universalmente. La voce degli umili ha scalzato il silenzio. Hanno gridato le pietre.