Torino. La notte che rischiammo di «perdere» la Sindone
La mattina dopo, la Sindone era distesa su un cavalletto, nella grande Sala dei vescovi in arcivescovado. Il gruppo dei consulenti scientifici del Custode aveva compiuto un primo esame sommario per controllare se ci fossero danni evidenti. Ma il Telo, uscito dal Duomo di Torino dentro la cassa della custodia, aveva superato anche quella “prova del fuoco”, l’ultima di una storia lunga (danni ben maggiori, e permanenti, hanno lasciato il segno nell’incendio di Chambéry del 1532: quella goccia d’argento fuso che trapassò tutti gli strati del Telo, “regalandoci” le toppe triangolari, rimosse soltanto nel 2002). L’incendio nel cuore della notte aveva radunato, ora dopo ora in piazza San Giovanni, tutta la città.
A un certo punto della notte l’arcivescovo e il sindaco, con il comandante dei carabinieri, si fermarono a guardare le fiamme che si stavano portando via Cappella, Duomo e Palazzo Reale: sulle loro facce si leggeva di tutto: sconforto, fatica, anche rabbia e paura. Ma non rassegnazione. In arcivescovado il tema, nei primi giorni dopo l’11 aprile 1997, era un altro: mancava un anno all’ostensione pubblica e ci si ritrovava Un’immagine dell’incendio che venti anni fa danneggiò gravemente la Cattedrale di Torino dov’è conservato il Telo che avrebbe avvolto il corpo di Cristo con la Cappella guariniana distrutta, il Duomo gravemente danneggiato, e nessun posto in cui tenere protetta la Sindone. Il cardinale custode, Giovanni Saldarini, aveva visto andare a fuoco la sua Cattedrale. Si doveva andare avanti? Il cardinale e i suoi collaboratori decisero per il sì: e quella “scommessa” divenne subito contagiosa, si trasformò in una corsa della città intera per arrivare a rispettare l’appuntamento.
La Sindone venne ricoverata in luogo sicuro e tornò in Cattedrale all’alba di uno dei primi giorni di aprile del 1998. Nella “sacrestia nuova”, edificio provvisorio costruito apposta dopo l’incendio, venne tolta dalla cassa e distesa: da allora non sarebbe mai più stata arrotolata, in modo da non formare più pieghe sul tessuto. L’ostensione del 1998 fu forse quella che contribuì a far conoscere (anche “grazie” all’incendio) la Sindone in tutto il mondo; e che confermò quanto il Telo fosse popolare soprattutto fra le comunità cristiane italiane, che vennero in massa a Torino, così come erano venute nel 1978, quando la Sindone fu esposta per la prima volta dopo 45 anni. E poi i Papi. Il 24 maggio 1998 Giovanni Paolo II fu a Torino, per una giornata memorabile di festa; dopo di lui Benedetto e Francesco non sono stati da meno, nel 2010 e nel 2015: a sottolineare come la proprietà del Telo, donato alla Santa Sede da Umberto II di Savoia, non sia solo una realtà giuridica.
Da una visita all’altra il magistero dei Papi sulla Sindone ha rafforzato la dimensione “pastorale” del Telo. Compreso il silenzio di Francesco: in Duomo, il 21 giugno 2015, si è seduto a pregare e poi, alzatosi, è andato a toccare, allungando il braccio, la cornice della teca che custodiva il Telo. Ma più che toccare, l’ha accarezzata. Il pellegrinaggio a Torino è un viaggio di speranza verso la contemplazione della sofferenza e della morte, e una meditazione sulla “buona notizia” della Risurrezione del Signore; le questioni scientifiche e storiche conservano tutta la loro importanza, ma riguardano gli studiosi e gli addetti ai lavori più che i milioni di persone che hanno fatto la coda verso il Duomo nelle quattro ostensioni che si sono succedute (1998, 2000, 2010, 2015; più un’ostensione televisiva mondiale nel 2013).