Padre Giorgio Marengo. La Mongolia ora ha il suo vescovo
Al centro, seduto, il vescovo Marengo circondato da Nosiglia, Poletto e Tagle
Con gli sguardi rivolti all’effigie della Consolata, cuore del santuario torinese dedicato alla Vergine, mentre si diffondeva l’audio di un canto a Maria in lingua mongola, musicato nelle steppe. Si è conclusa così, ieri mattina, a testimoniare quel profondo legame di «cuore e Vangelo» tra la Chiesa torinese e quella mongola (che ha seguito la diretta web), la consacrazione episcopale di padre Giorgio Marengo, primo Missionario della Consolata nel Paese asiatico che lo scorso aprile papa Francesco ha nominato prefetto apostolico di Ulan Bator, dal nome della capitale.
La consacrazione è avvenuta per le mani del cardinale Luis Antonio Tagle, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli. Coconsacranti Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, e il cardinale Severino Poletto, arcivescovo emerito della Chiesa subalpina, che nel 2001 ordinò sacerdote padre Marengo. Concelebranti numerosi vescovi del Piemonte, l’arcivescovo Gabriele Giordano Caccia, rappresentante della Santa Sede all’Onu, il superiore dei Missionari della Consolata, padre Stefano Camerlengo, confratelli dell’Istituto missionario e preti diocesani. Stretti intorno alla famiglia – la mamma Laura e la sorella Mariachiara – anche tutto il consiglio delle Missionarie della Consolata. Palpabile la gioia per la consacrazione di un sacerdote molto amato ovunque ha operato. Vescovo titolare di Castra Severiana, padre Marengo, cuneese di nascita (7 giugno 1974) è cresciuto a Torino dove è stato scout. Ha studiato filosofia alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e teologia nella Pontificia Università Gregoriana. Ha poi compiuto ulteriori studi presso la Pontificia Università Urbaniana, conseguendo licenza e dottorato in missiologia.
Dopo l’ordinazione sacerdotale ha svolto il suo ministero pastorale in Mongolia e dal 2016 era consigliere regionale per l’Asia incaricato per la Mongolia. La consacrazione episcopale sarebbe dovuta avvenire a Ulaanbaatar ma per la pandemia la scelta è caduta su Torino, in quel santuario «dove mi piace pensare che il beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari della Consolata oggi si unisca a noi – ha ricordato il rettore, monsignor Giacomo Martinacci – non dal coretto a lato dell’altare dove sostava per invocare la Consolata, ma dal cielo per per assicurare a padre Giorgio la sua preghiera». Una preghiera segnata dalla commozione in tanti momenti della celebrazione a partire dalle parole che il cardinale Tagle ha rivolto a padre Marengo: un invito a sperimentare nel suo ministero «l’amore rassicurante di Dio che dà la capacità di essere profeti e l’umiltà di chi non è padrone ma custode del gregge». «Un vescovo – ha aggiunto – può solo vantarsi dell’amore compassionevole di Gesù».
E poi l’augurio: «Lascia che il tuo cuore, che i tuoi scritti, le tue parole, i tuoi sorrisi sussurrino Gesù alla gente, ai poveri, ai sofferenti, alla steppa, ai fiumi, agli eterni cieli blu della Mongolia. Sussurra Gesù con la fiducia e la condivisione del tuo cuore e così nelle tue conversazioni, nei momenti di convivenza e nelle tue serate silenziose in Mongolia lo Spirito Santo porterà il tuo umile sussurro anche alle terre e ai cuori a te inaccessibili ». Un desiderio di annuncio e di «condivisione del cuore per il popolo mongolo» che emerge anche dai simboli scelti per lo stemma episcopale di Marengo: oltre alla Consolata, una croce nestoriana e un calice come quelli in uso in Mongolia. Un cammino segnato dal motto Respicite ad eum et illuminamini (“Guardate a lui e sarete raggianti”), perché non c’è annuncio senza gioia, come testimoniato dal volto sorridente mostrato anche nelle prime parole da vescovo (in italiano e in mongolo): «Oggi è intensa la luce del mistero celebrato, oggi è un condensato di grazia che posso accogliere solo con grande riconoscenza. La Trasfigurazione è luce per confortare i discepoli. Questo giorno luminoso è luce a cui dovrò sempre ricorrere per seguire il Signore che mi manda in Mongolia, nella terra che ha pensato per me al servizio di chi ancora non lo conosce e allora oggi solo il grazie può risuonare». Gratitudine a cui si è aggiunta quella Nosiglia: «Questo è un bel segno di gioia e speranza per la nostra Chiesa». Con l’augurio dal cardinale Poletto: «Oggi lo affido di cuore alla Consolata che lo accompagni sempre».