Chiesa

L'intervista. «Così Medjugorje chiede di essere operatori di pace»

Lorenzo Rosoli, inviato a Medjugorje sabato 3 giugno 2023

La parrocchia di Medjugorje e la statua della Madonna

«Noi contribuiamo a costruire la pace facendo di Medjugorje sempre più un luogo di pace, dove aiutare ogni persona a ritrovare la speranza e a diventare operatore di pace nella missione che il Signore gli ha affidato in questa vita». Così l’arcivescovo Aldo Cavalli, visitatore apostolico per la parrocchia di Medjugorje, illustra la vocazione del paese della Bosnia Erzegovina nel quale s’invoca Maria come “Regina della pace”. Lo fa nei giorni in cui ha ricevuto i partecipanti al pellegrinaggio organizzato dalla parrocchia di Ghedi (Brescia) nel trentesimo anniversario dell’eccidio di Gornji Vakuf, avvenuto il 29 maggio 1993, quando tre giovani volontari italiani – Sergio Lana, Fabio Moreni e Guido Puletti – vennero sequestrati e uccisi mentre portavano aiuti alle popolazioni straziate dalla guerra che condusse alla dissoluzione della Jugoslavia. Ecco: mentre l’Europa rivive in Ucraina la tragedia della guerra, a Medjugorje si rinnova la memoria dei tre martiri di un conflitto che si sperava fosse l’ultimo a insanguinare il continente.

Papa Francesco con l’arcivescovo Aldo Cavalli, visitatore apostolico a Medjugorje - Vatican Media

Maria “Regina della pace” e Medjugorje come possono aiutarci a diventare costruttori di pace?

La prima cosa: se voglio essere operatore di pace, devo esserlo nella missione che il Signore mi ha dato. E che devo realizzare nel modo migliore possibile, qualunque essa sia. La seconda cosa: essere presenti nel mondo, dove c’è pace e dove c’è guerra, e se non è possibile essere presenti fisicamente, esserlo con la preghiera, con il pensiero, con l’interesse attivo per quello che accade. Presenti come ci insegna Maria: che era presente quando Dio si è fatto uno di noi in lei; che era presente ai piedi della Croce quando Gesù ha assunto e perdonato i nostri peccati per sempre; che era presente quando, a Pentecoste, è nata la Chiesa. E con una presenza sempre discreta ma profonda. C’è poi un terzo aspetto. Gli organizzatori del pellegrinaggio in memoria di Sergio, Fabio e Guido hanno scelto una frase profondissima di Giovanni Paolo II, che aveva conosciuto la guerra, il nazismo e il comunismo: “Il prezzo della pace è la fatica del perdono”. Perdonare non significa dimenticare il male ricevuto, ma significa che io non farò a te quello che tu hai fatto a me, e mi impegno a creare un ambiente di pace là dove altri hanno seminato il male. Significa che io stesso divento “luogo di pace”. Costa fatica. Ma questo è il contributo che tutti possiamo dare per la pace nel mondo.

Come portare tutto questo sul piano dei rapporti fra i popoli?

Ognuno di noi deve vivere in maniera creativa e attiva, non nella mediocrità. Se noi tutti viviamo in maniera forte aggiornandoci e perfezionandoci, possiamo avere un influsso positivo anche sulle scelte politiche dei nostri popoli.

A Medjugorje possiamo vivere un’esperienza di riconciliazione con Dio che ci apra alla riconciliazione con gli altri e con noi stessi?

Sì, perché questo è un luogo di grazia che il Signore ha scelto – come ha scelto Nazaret che era un paese mai citato nell’Antico Testamento – e questo lo vedo ogni giorno da un anno e mezzo. Qui viene gente da tutto il mondo – un milione di persone lo scorso anno, tanti giovani e trentamila preti – con tanti problemi e sofferenze, e li vedo alla Messa, al Rosario, all’adorazione eucaristica e alla venerazione della Croce, in coda per ore al confessionale – dove magari non vanno da decenni – per chiedere al Signore di aiutarci a cambiare vita. E fanno tutto con gusto e senza stancarsi perché stanno bene, e stanno bene e si sentono riconciliati perché c’è il Signore: come nella Trasfigurazione.

Che cosa cercano i pellegrini, qui?

Una speranza. Alcuni l’hanno persa.

E che cosa trovano?

La grazia, che entra dentro, e il Signore che guarda a te in prospettiva. Qui il Signore ti dona la sua grazia. Noi siamo strumenti per trasmettere questo dono. Qui scopri che confessarsi non è solo elencare peccati, è conversione, è incontro con la grazia per tornare a casa cambiati. E nell’assoluzione incontri il Signore che ti vede in prospettiva, e ti chiama alla speranza dentro i nodi della vita che sembrano inestricabili.

I pellegrini in preghiera a Medjugorje - Ansa

In che cosa consiste il suo servizio di visitatore apostolico?

Medjugorje è un luogo di grazia: il visitatore è inviato dal Papa perché resti tale. La grazia viene dal Signore, non da noi: noi dobbiamo collaborare perché resti così. Perciò il visitatore ha giurisdizione pastorale sulla parrocchia a nome del Papa. Lo scorso anno, tra i frati francescani che prestano servizio qui, c’è stato un ricambio: a quelli che hanno conosciuto l’inizio di Medjugorje, sono subentrati cinque giovani. Lavorano molto e in armonia fra loro, sono preparati, sono immersi nella spiritualità di questo luogo di grazia e la sanno custodire.

Papa Francesco è contento di Medjugorje?

Quando mi chiede come va, gli dico che qui, noi, preghiamo, preghiamo e preghiamo in un luogo di grazia. E il Papa è contento. Negli Atti degli Apostoli si dice che nella prima comunità erano perseveranti nella preghiera, che erano in armonia fra loro e che c’era Maria. Così è venuto lo Spirito Santo, così è nata la Chiesa. E così cerchiamo di essere Chiesa a Medjugorje. Che deve restare luogo di grazia: perciò non vogliamo che entrino fattori che turbano l’armonia. Non pretendiamo di dare messaggi al mondo intero: vogliamo solo collaborare con la grazia per costruire la Chiesa che Dio vuole.

Una Chiesa sempre più sinodale…

Sinodalità è proprio questo: un camminare insieme che richiede armonia, perseveranza nella preghiera e la presenza di Maria. Così viene lo Spirito, così la Chiesa si rinnova e si converte.