Le derive nelle celebrazioni. La liturgia manomessa: quando il rito diventa spettacolo
Il prete che celebra la Messa vestito da ciclista, quello che consacra indossando un casco da motociclista, quello che fa il suo ingresso all’altare in monopattino elettrico... sono scene deplorevoli che di tanto in tanto diventano virali sui social network e di tanto in tanto subiscono una censura formale. Gli episodi di “creatività liturgica” che possono sfociare in abusi sono però un flusso quotidiano che non riceve sempre un’attenzione adeguata. L’Istituto di liturgia pastorale “Santa Giustina” di Padova ha voluto soffermarsi sul fenomeno con una tre giorni di studio – da lunedì a oggi – alla Casa di spiritualità di Camposampiero, sempre nel padovano. “La liturgia manomessa. I disturbi comunicativi del rito” il titolo dell’iniziativa, che ha attirato oltre cento interessati nonostante il taglio per addetti ai lavori e gli orari non per tutti.
«Al di là dell’aspetto disciplinare – spiega don Loris Della Pietra, direttore dell’Istituto di liturgia patavino – a noi premeva capire che cosa accade quando il rito viene falsato nelle sue premesse, nelle sue dinamiche proprie. Il titolo dice appunto “liturgia manomessa”: quali sono le disfunzioni che rendono di fatto la liturgia inefficace perché la rendono un’altra cosa. E solitamente la rendono uno spettacolo. Lo spettacolo ha bisogno di spettatori che siano davanti, che guardino l’azione, la liturgia ha bisogno di partecipanti che siano dentro l’azione».
E se la liturgia diventa uno spettacolo, aggiungiamo, ovviamente la tentazione di fare il gesto spettacolare è forte. «Se non si rispettano le logiche proprie del rito si rischia molto facilmente di cadere nelle logiche dello spettacolo e quindi della seduzione » puntualizza don Della Pietra. Di fronte a certi comportamenti il sospetto che a noi viene è che manchi in chi li compie la fede nella Presenza reale o la consapevolezza di cosa è realmente l’Eucaristia.
«Può essere – commenta don Della Pietra – . Io direi, con una punta di misericordia, che nella maggioranza dei casi chi fa certe cose è mosso da un fine chiamiamolo pastorale, rendere cioè il rito più fruibile, accattivante, oppure farsi capire dai bambini. Ma se posso parzialmente salvare la motivazione, non salvo di certo gli esiti. Poi ci si dovrebbe porre una domanda: quando celebro voglio incontrare ciò che non conosco appieno, cioè Dio, ciò che non mi appartiene già, perché Lui è sempre altro rispetto a me, o quando celebro voglio riprodurre ciò che sono, ciò che già so, la mia comunità, la mia idea, voglio proporre la mia istanza? Anche questa è una mancanza di fede».
Un altro dubbio che si affaccia spesso alla mente di chi assiste a certi “spettacoli” con sacerdoti protagonisti è: cosa avranno studiato, che formazione avranno ricevuto in Seminario? Don Della Pietra, che tra l’altro è stato per sei anni rettore del Seminario interdiocesano di Castellerio (Udine), risponde così: «Il Papa nella lettera apostolica Desiderio desideravi tocca il tema della formazione liturgica dei sacerdoti e dei seminaristi, ma è anche molto lucido nel riconoscere che oggi abbiamo a che fare con il soggettivismo imperante, per cui ciò che conta è come mi sento, cosa voglio, le idee che ho… La liturgia invece ha a che fare con l’oggettivo, con qualcosa che ricevo, che mi viene dato. Si possono fare tutte le scuole per imparare a celebrare, ma si impara veramente stando dentro le strutture liturgiche della Chiesa. Nei Seminari si dovrebbe toccare molto di più questo aspetto: va bene tutta la teologia sulla liturgia, però occorre uno sguardo alla pratica celebrativa che parta da un’idea di fondo, la docilità, cioè non mettere il mio io davanti al rito. Di fronte a certe scene che sono finite anche sui giornali viene da chiedersi: si voleva incontrare il Signore o si voleva avere la fotografia che facesse il giro dei social?».