Anticipazione. Luciani «parlava con la lingua del popolo»
Albino Luciani, futuro Giovanni Paolo I dialoga con una bambina durante la Messa. Lo farà anche da Papa durante le poche udienze generali del mercoledì
Pubblichiamo la prefazione di Franco Nembrini, intitolata “Profumo di casa”, al libro “Giocare con Dio” curato da Nicola Scopelliti, edito dalla casa editrice Ares.
Posso dirlo? Leggendo questa splendida raccolta di testi di papa Luciani ho sentito profumo di casa mia.
Perché Albino Luciani, poi papa Giovanni Paolo I per un pontificato brevissimo, misterioso e profetico, era un uomo colto, coltissimo, di dotti studi e ampie letture. Ma, al tempo stesso, è sempre rimasto un figlio di quel popolo umile, semplice, fedele di una fede schietta e salda, da cui, per grazia di Dio, sono nato anch’io.
E a quel popolo Albino Luciani ha sempre continuato a parlare, anche quando ha fatto carriera (meglio, quando gliel’hanno fatta fare, perché lui alle promozioni è sempre stato restio), anche quando è diventato vescovo di Vittorio Veneto e poi patriarca di Venezia. E al popolo ha continuato a parlare con la lingua del popolo, con le immagini semplici, schiette, che erano familiari ai suoi nonni come ai miei, ai contadini della pianura veneta e agli artigiani bergamaschi. Così, ha sempre inframmezzato alle sue omelie, che pure erano nutrite di salda dottrina, aneddoti, brevissimi aforismi, storielle, racconti raccolti dalla tradizione o inventati lì per lì, che anche l’ultimo dei braccianti o il più piccolo dei bambini poteva capire al volo.
Grazie a Dio il suo segretario dell’epoca di Vittorio Veneto, don Francesco Taffarel, sant’uomo anche lui, colpito dalla dotta semplicità del suo vescovo, in gran parte se li è diligentemente annotati in grossi quaderni che ha gelosamente conservato (anche se, dice, "se avessi saputo che sarebbe stato eletto Papa avrei cercato di conservare più materiale"). E Ares, sempre attenta a tutto quel che può alimentare la fede dei suoi lettori, ne propone qui un’ampia selezione per la curatela del giornalista Nicola Scopelliti, grande amico di don Taffarel.
Darne un’idea è impossibile.
Ci sono racconti dei monaci del deserto ed episodi delle vite dei santi (in prima fila don Bosco), c’è il raccontino del chierichetto che si presenta in paradiso fiero delle mille Messe che ha servito e san Pietro che gli fa l’elenco di tutte quelle che ha servito male, distratto, facendo dispetti agli altri chierichetti, e quello del vecchietto che per tutta la vita si è lasciato pagare con monete false e all’ultimo si raccomanda a Dio, "Signore, nella mia vita ho accettato tante monete false dalla gente, ma non ho mai giudicato male nel mio cuore, perché pensavo che quella gente non si rendeva conto di quanto faceva. Anch’io, Signore, sono una moneta senza valore...non giudicarmi!".
Ci sono episodi della vita di uomini famosi, da Marconi a Lincoln, e l’esempio della calamita per indicare come Gesù ci attrae, ci sono mille e mille episodi di vita quotidiana con cui Luciani illustra quel che davvero conta nella vita: la pazienza, il lavoro, il perdono, l’umiltà...
Insomma, dare l’idea di un libro così è impossibile. Ma sono certo che tutti quelli che conservano un cuore da bambino ("Se non ritornerete come bambini...", cfr Mt 18, 1-5) ci possono trovare insieme il sorriso di papa Luciani e un’indicazione, un suggerimento, una correzione per la propria vita.
Franco Nembrini
Il libro: la catechesi semplice di Luciani
di Enrico Lenzi
«Papa Giovanni (XXIII) ricevette un giorno una delegazione di paracadutisti francesi e nel congedarsi disse: “Voi imparate con grande entusiasmo come si fa a cadere dal cielo...non vorrei che poi dimenticaste come si fa a risalirvi”».
«Avere la voce robusta e forte non significa avere sempre ragione».
«Un giovane, pieno di entusiasmo, aveva terminato il corso per diventare idraulico. Volle andare a visitare le cascate del Niagara. Guardò, prese appunti e disse: “Credo di poterle sistemare”».
Sono tre brevi racconti - degli 383 pubblicati - che Albino Luciani ha pronunciato nei discorsi, nelle visite alle parrocchie, negli incontri pubblici durante il suo ministero episcopale a Vittorio Veneto prima e a Venezia poi. Frasi, racconti, aneddoti, raccolti da don Francesco Taffarel, che di Luciani fu il segretario nel magistero a Vittorio Veneto e per un tratto anche nel patriarcato veneziano. Testimoniano un parlare semplice, un cercare la storia più efficace per trasmettere pensieri e valori più alti, che ha sempre caratterizzato il parlare del vescovo Luciani.
Un materiale raccolto dal suo segretario e che ora ha preso forma di libro grazie alla cura di Nicola Scopelliti, che del sacerdote fu amico, e alla casa editrice Ares. Si intitola “Giocare con Dio. Catechesi senza mitria” (pagine 256, euro 19) e raccoglie «una ricca varietà di racconti e aneddoti, alcuni noti, molti inediti», che il segretario don Taffarel ha conservato per anni, e chiedendo che venissero resi pubblici solo dopo che la causa di beatificazione di Albino Luciani-Giovanni Paolo I fosse giunta al riconoscimento delle virtù eroiche. «Don Francesco teneva moltissimo a questo libro – spiega il curatore del libro –: lui stesso aveva selezionato i testi ordinandoli secondo criterio e gusti personali, dicendomi che chi avesse voluto comprendere Luciani sarebbe dovuto passare da questa lettura perché questi scritti dicono molto di lui, della sua personalità accogliente e ospitale, del suo spirito libero e arguto, dell’amore per i semplici accompagnato sempre dal desiderio profondo di fare apostolato, cioè di portare Gesù a tutti». Del resto anche soltanto nelle quattro udienze generali che tenne nel suo brevissimo pontificato, Giovanni Paolo I aveva conquistato i fedeli proprio per il suo parlare semplice e il ricorrere a storielle o aneddoti che erano tutt’altro che casuali o insignificanti. E lo scorrere delle pagine del libro pubblicato da Ares, si colgono realmente tutti gli aspetti sottolineati dal segretario di Luciani ai tempi di Vittorio Veneto, deceduto nell’ottobre del 2014 anch’egli improvvisamente e nel sonno, come avvenne nella notte tra il 28 e 29 settembre 1978 per Giovanni Paolo I. Ora quel «dono inaspettato» - come il curatore definisce il materiale ricevuto da don Taffarel - diventa patrimonio di tutti. La lettura restituisce al lettore lo stile comunicativo di Albino Luciani definito dal curatore «vicino al popolo» e «con la lingua del popolo». Ma si percepisce anche la cultura e la preparazione che il futuro Giovanni Paolo I metteva nell’affrontare gli incontri e gli interventi pubblici che teneva. Del resto come motto episcopale scelse la parola «Humilitas» (Umiltà). Ed è sempre don Taffarel a raccontare come quella parola non era solo un motto, ma uno stile: «Quando andava in cappella entrava solo con la talare – racconta il suo segretario a Vittorio Veneto –. Non portava l’anello vescovile, nè la croce pastorale, nè tanto meno lo zucchetto. Colse la mia perplessità e allora mi disse: “Don Francesco, al Signore i tappeti non servono e non servono neanche le altre insegne. Davanti a Dio bisogna essere come bambini. Prega anche tu usando il Rosario”».