La traduzione. La Bibbia «parla» friulano
Bibbia in friulano
«Dâi dignitât al nestri popul tun moment cussì grant, profont e liberant come chel de prejere personâl e soredut liturgjche». Era proprio questo – ossia “dare dignità al nostro popolo in un momento così grande, profondo e liberante come quello della preghiera personale e soprattutto liturgica” – lo scopo per cui due preti friulani, pre Checo Placerean e pre Toni Beline, decisero negli anni tumultuosi del post Concilio di tradurre prima il Vanseli (Vangelo) direttamente dal greco, e poi La Bibie (La Bibbia) in lingua friulana, dunque, la lingua parlata da gran parte di questo popolo e riconosciuta dallo Stato con la legge 482. Il Libro dei libri, che porta l’introduzione dell’arcivescovo di Udine, Andrea Bruno Mazzocato, dell’arcivescovo di Gorizia, Carlo Roberto Maria Redaelli, e del vescovo di Concordia-Pordenone, Giuseppe Pellegrini, verrà presentato questa sera a Udine dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, in una nuova edizione a cura dell’Istituto Pio Paschini per la storia della Chiesa in Friuli.
Un cammino pluridecennale
«Per un credente e per ogni uomo alla ricerca di un senso da dare alla propria vita – spiega il direttore Cesare Scalon – la Bibbia rimane innanzitutto una fonte inesauribile di sapienza, di spiritualità, di riflessioni profonde e vitali sulla grandezza dell’uomo, sulla sua esistenza effimera e sul suo destino eterno e al tempo stesso sulla storia tormentata del passato e del presente». Ed è tanto meglio leggibile ed interpretabile, se in marilenghe. Per questo, riconosce don Loris Della Pietra, direttore dell’Ufficio liturgico, questa riedizione de La Bibie, in tempi non facili anche a livello culturale, «ha il valore di un atto rivoluzionario». Riedizione sì, perché la prima, 20 anni fa, è andata esaurita. «Le radici giudaico-cristiane raccontate nella Bibbia, al pari della tradizione classica ereditata dal passato, hanno contrassegnato in modo indelebile la nostra storia e la nostra cultura e rimangono un punto di riferimento insostituibile per chiunque voglia costruire un futuro autenticamente umano, in cui il denaro e il profitto non siano gli unici parametri di riferimeno – afferma ancora Scalon –. Per non dire che senza la Bibbia, gran parte del patrimonio culturale, materiale o immateriale, in nostro possesso rimarrebbe inesplicabile». Come è testimoniato dall’origine di questa traduzione.
Quando arrivò il terremoto del 1976, pre Checo Placerean – al secolo don Francesco Placereani – aveva già tradotto il Nuovo Testamento e alcuni libri dell’Antico (i Salmi, Isaia e Geremia), ma il percorso era ben lontano dalla conclusione. Fu allora, davanti alle rovine del suo paese, Venzone, raso al suolo dal sisma, che pre Beline decise di affiancarsi all’amico, per riprendere e portare a compimento il lavoro. Cominciò con il libro di Giobbe. Seguirono quindici anni di lavoro massacrante, sostenuto dagli amici di “Glesie furlane” e poi coordinato da don Duilio Corgnali, allora vicario diocesano per la cultura. A curare l’adattamento della grafia è stato pre Romano Michelotti di “Glesie furlane” con la consulenza di don Loris Della Pietra, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano, e di Gabriele Zanello, docente di lingua e letteratura friulana.
Il volume è pensato soprattutto per i giovani, con uno sguardo al futuro, nella convinta speranza che anche le nuove generazioni riescano a illuminare la storia con la luce della fede e di dare alla fede la concretezza della storia. Non è senza significato che il settimanale diocesano di Udine La Vita Cattolica abbia accompagnato gli abbonamenti di quest’anno con La Bibie. «La lingua rappresenta – ricorda Zanello – l’identità profonda di un popolo, caratteristica tanta cara a noi friulani. Per la persona è il modo di essere, di vedere il mondo, di relazionarsi col prossimo e con se stessi, è forma di vita, esperienza del vivere umano ed espressione del senso dell’esistenza». Nel 2014 La Bibie in friulano venne letta integralmente nell’oratorio della Purita, di giorno e di notte, per una settimana, da credenti e non credenti. «La diversità è sempre ricchezza: da accogliere e da preservare – ha anticipato il cardinale Bassetti in un’intervista a La Vita Cattolica –. Il rischio dell’omologazione è reale nel nostro tempo: vale per la società ma anche per la Chiesa. Cancellare ciò che ci caratterizza significa perdere le radici. E senza radici non c’è futuro. Inoltre avere un’identità forte e chiara è il fondamento per imbastire il dialogo con l’altro. Certo, le identità non possono trasformarsi in vessilli da issare contro il “lontano”, tantomeno in muri da alzare per proteggersi contro nemici immaginari».
Due esempi da Genesi e Apocalisse:
«Tal imprin Diu al creà cîl e tiere. Ma la tiere e jere un vuluç e vueide, gnot fonde e jere sul mâr, e il spirt di Diu al svolampave parsore des aghis. Diu al disè: “Che e sedi la lûs“ e la lûs comparì: Diu al viodè che la lûs e leve ben e al metè la lûs di une bande e il scûr di chê altre. Diu al metè il non di dì a la lûs e di gnot al scûr. E passà una sere e une buinore: prime zornade». (Gen 1,1-2)
«In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno». (Gen 1,1-2)
«Jo, Jesù, o ài mandât il gno agnul par testemoneâus a vualtris chestis robis in merit des Glesiis. Jo o soi la lidrîs de çocje di David, la stele sflandorose de buinore. Il Spirt e la nuvice a disin: “Ven!”. E chel che al scolte, che al torni a dî: “Ven”. Chel che al à sêt, che al vegni; chel che al vûl, che al urissi dibant l’aghe de vite». (Ap 22, 16-17)
«Io, Gesù, ho mandato il mio angelo, per testimoniare a voi queste cose riguardo alle Chiese. Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino. Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni!”. E chi ascolta ripeta: “Vieni!”. Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l’acqua della vita». (Ap 22, 16-17)