Pagnoncelli. «Il Cammino sinodale? Può aiutare il Paese a ritrovare fiducia»
Il confronto tra delegati durante l'Assemblea sinodale nella basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma
Questa cosa forse un po’ “oscura” fuori dalla Chiesa che è il Cammino sinodale, in realtà, può aiutare l’intero Paese a guardare con fiducia al proprio futuro. Ne è convinto Nando Pagnoncelli, amministratore delegato di Ipsos e membro del Comitato nazionale del Cammino sinodale.
Con il Cammino sinodale la Chiesa si mette in discussione per continuare a parlare alla società di oggi. Qual è dunque il quadro sociale di partenza entro cui si muove questo sforzo?
Il quadro di partenza è caratterizzato da un clima sociale piuttosto negativo, segnato da una successione di crisi dall’inizio del decennio: la pandemia, l'inflazione, la crisi energetica, le guerre e così via. Queste cosiddette policrisi stanno creando disorientamento, incertezza, preoccupazione che portano spesso a un atteggiamento di ripiegamento difensivo rispetto a tutto ciò che ci circonda, alle minacce vere o presunte. Però il clima sociale attuale è anche figlio di un cambiamento di lungo periodo, che riguarda gli ultimi tre decenni e che potremmo definire un cambiamento antropologico, caratterizzato da tre elementi.
Quali sono questi elementi?
Il primo è questa crescente divaricazione tra la dimensione individuale e il senso di appartenenza a una collettività più ampia, quello che Francesco chiama lo scisma tra l’io e il noi. C'è un investimento solo sul se, sull’io, sulle relazioni sociali ristrette e tutto quanto è più lontano viene vissuto o come molto distante o come minaccioso addirittura. Tutto ciò ha un impatto molto forte anche sulla fiducia: quella nelle istituzioni si è fortemente indebolita. Tale frattura verticale si aggiunge a una frattura orizzontale che si esprime in un senso di coesione che è piuttosto limitato. Un secondo aspetto molto importante è la frammentazione identitaria, cioè l’assenza di una visione unica e coerente del sé, che porta a due grandi conseguenze: la multiappartenenza (non c'è un ambito prevalente di cui io mi sento parte) e a contraddizioni enormi nei comportamenti individuali di cui non si è consapevoli.
E il terzo elemento?
È la netta prevalenza delle percezioni sulla realtà: in Italia, più che in altri Paesi, siamo portati ad amplificare la portata dei fenomeni, soprattutto quelli che ci preoccupano di più. Così il Paese viene percepito come “distopico”, un luogo dove, a dispetto di quello che dicono i dati, si pensa ci siano tanti crimini, tanti disoccupati, tanti anziani, tanti immigrati (e potrei continuare con tutti gli altri indicatori). Questo si traduce anche molto spesso in una ignoranza di quelli che sono gli aspetti positivi del Paese. Pochi sanno, infatti, che siamo il secondo Paese manifatturiero d’Europa, il primo nella raccolta differenziata dei rifiuti.
E questa visione riguarda anche i credenti?
Sì, su questo non c’è differenza tra credenti e non credenti. Anche i credenti vivono questa frammentazione identitaria e il Vangelo conforma sempre meno il comportamento del credente che tende a tenere conto o a rifiutare il messaggio evangelico in base a quello che è più o meno in sintonia col proprio stile di vita.
E il Cammino sinodale come potrebbe contribuire a cambiare le cose?
È evidente che il Camino sinodale potrebbe rappresentare un antidoto a questo a questo clima. Lo può fare grazie al metodo che si è scelto di seguire, partendo proprio da questa attenzione all’ascolto lungo tutto il processo. Uno stile, che oggi non è scontato, nel momento in cui una parte rilevante degli italiani mette in discussione la democrazia “perché la mia voce non conta, perché non vengo ascoltato”. Il secondo elemento è l'idea del cambiamento: è interessante vedere come tutti reclamino il cambiamento ma nessuno agisce per il cambiamento perché il cambiamento ci mette in discussione mette in discussione i nostri punti fermi, i nostri diritti acquisiti. In politica questa cosa è un aspetto che ingessa la proposta politica dei partiti, che usano proposte o frasi a effetto immediato, che però poi evaporano, perché non perseguono le vere riforme. Queste, infatti, sono sempre impopolari: c’è questa resistenza da parte dei cittadini nell'accettare i cambiamenti, soprattutto nel momento in cui non si conosce il percorso e non si conosce l'approdo. Ogni transizione, invece, ha vincitori e vinti, ma se non si fa niente il Paese si ingessa nel presentismo. Quindi l'idea che la Chiesa decida di mettersi in discussione e proceda verso cambiamento è un altro elemento estremamente importante. L'idea di mettersi in cammino, di immaginare un futuro, sapendo che per cambiare c’è bisogno di tempo, di riflessione, di confronto, è un metodo che è in contrasto rispetto al “tutto e subito” degli ultimi tempi. La Chiesa sta dando un segnale importante da questo punto di vista.
Ma come si potrà portare questo processo fuori dalla Chiesa?
Una volta completato tutto questo Cammino sinodale, l'elemento decisivo sarà come comunicarlo in maniera efficace a chi non ha partecipato a questo percorso sia tra i credenti che tra i non credenti. E questo processo può donare uno sguardo meno severo, meno pessimista uno sguardo più benevolo nei confronti degli altri: non si tratta di “buonismo” ma di affermare che pur nelle difficoltà c’è una speranza ed è necessario trovare le forza e le risorse per andare avanti, senza chiudere in una inutile “retropia”, la nostalgia del passato di cui parlava Bauman. Perché in realtà non abbiamo mai vissuto in un'epoca con le opportunità che offre questo nostro tempo. In questo senso lo sguardo positivo ma consapevole sulla realtà che il Cammino sinodale potrà offrire al l’Italia sarà prezioso anche per la politica e per chi guida il Paese.