Chiesa

Ucraina. La Chiesa al lavoro per la tregua: «In nome di Dio, fermatevi»

Mimmo Muolo sabato 12 marzo 2022

Prosegue l’impegno della Chiesa cattolica per una tregua e il dialogo. Per la terza volta il segretario di Stato offre la disponibilità del Vaticano per un ruolo di mediazione

Il tweet di Francesco: «In nome di Dio, fermatevi! Pensate ai bambini».



L’intervista del cardinale Pietro Parolin ai media vaticani: «Basta con lo scempio della guerra. Si avverte il bisogno di iniziative politico-diplomatiche di ampio respiro. La Santa Sede è disposta a fare tutto ciò che è possibile in questo senso».

La giornata di sabato, sul fronte vaticano, è stata caratterizzata da questi due interventi, che confermano come la Santa Sede si stia muovendo su più piani per cercare una soluzione pacifica al sanguinoso conflitto in atti in Ucraina.

Agli ripetuti e accorati appelli del Pontefice si aggiunge, infatti, da un lato un’incessante azione diplomatica, portata avanti dai Parolin e dai suoi collaboratori, primi tra tutti (in questa circostanza) i nunzi a Mosca e a Kiev, dall’altro l’aiuto umanitario testimoniato in questi giorni dalla doppia missione dei cardinali Konrad Krajewski e Michael Czerny in Polonia, Ungheria e Ucraina.

Senza contare, ovviamente l’invito alla preghiera per la pace, che papa Bergoglio ripete in pratica tutti i giorni.
La coincidenza tra il tweet e l’intervista di sabato, in particolare, offre lo spunto per qualche riflessione. Colpisce soprattutto l’immagine a capo chino del Pontefice, con il volto profondamente rattristato, che accompagna il breve testo: «Mai la guerra! Pensate soprattutto ai bambini, ai quali si toglie la speranza di una vita degna: bambini morti, feriti, orfani; bambini che hanno come giocattoli residui bellici... In nome di Dio, fermatevi!».

Parole che trovano un immediato riflesso nelle dolore espresso anche dal cardinale Parolin. «Abbiamo di fronte agli occhi le immagini terribili che ci arrivano dall’Ucraina. Le vittime tra i civili, donne, vecchi, bambini inermi che hanno pagato con la loro vita la follia della guerra. Cresce l’angoscia nel vedere le città con le case sventrate, rimaste senza energia elettrica con temperature sottozero, la mancanza di cibo e di medicinali. Come pure i milioni di profughi, per lo più donne e bambini, in fuga dalle bombe».
Ecco perché bisogna trattare. «Non è mai tardi per tornare sui propri passi e per trovare un accordo», ha ribadito il segretario di Stato. E non è la prima volta che lo sottolinea, dall’inizio del conflitto. Così come va ricordato che per la terza volta in pochi giorni Parolin ha offerto la disponibilità della Santa Sede per un ruolo di mediazione, così come del resto lo stesso cardinale aveva rappresentato al ministro degli Esteri russo Lavrov, durante la telefonata dell’8 marzo.

In tal senso dunque va letta anche un’altra costante nelle dichiarazioni del Papa e dei suoi collaboratori. Viene cioè condannata la guerra («una pazzia», «un cancro che si autoalimenta»), ma senza l’indicazione esplicita di colpevoli. Circostanza che, secondo fonti autorevoli, verrebbe apprezzata anche a Mosca e che potrebbe perciò favorire un eventuale esercizio di mediazione da parte della Santa Sede. Ieri il segretario di Stato ha anche invitato a una riflessione sul «latte versato» ad esempio in relazione all’«insufficiente attuazione degli accordi di Minsk e quanto accaduto con la Crimea» e ha aggiunto: «Non siamo stati capaci di costruire, dopo la caduta del Muro di Berlino, un nuovo sistema di convivenza fra le Nazioni, che andasse al di là delle alleanze militari o delle convenienze economiche. La guerra in corso in Ucraina rende evidente questa sconfitta». Parole che al Cremlino saranno sicuramente lette con attenzione.