Chiesa

Colombia. Là dove le Farc hanno detto: basta armi, benvenuta pace

Lucia Capuzzi inviata in Colombia venerdì 8 settembre 2017

«Il Dio giusto e vero ha fatto sì che arrivasse la pace. E ci ha inviato Francesco per aiutarci a renderla duratura», canticchia Diego. La melodia è cadenzata, come si usa negli llanos, le sterminate pianure orientali della Colombia. Il brano è uno delle migliaia creati in onore del pellegrinaggio di papa Francesco. Eppure questa canzone è particolare. Risuona, infatti, nella Zona veredal de concentración Mariana Páez, meglio nota come Zona di Mesetas, uno dei 26 accampamenti in cui risiedono le ormai ex Fuerzas armadas revolucionarias de Colombia (Farc) dopo l’entrata in vigore dell’accordo di pace. «Questa canzone l’ha composta il nostro gruppo folcloristico – racconta orgoglioso Diego –. Voleva presentarla al concorso per la scelta della colonna sonora del viaggio. Quando l’ha terminata, però, erano già scaduti i termini. Sa, non siamo pratici di queste cose…».

La Zona di Mesetas – a quattro ore di auto da Villavicencio – è il più grande dei “villaggi delle Farc”, come vengono chiamati. In realtà sembra più una tendopoli: file di casette di plastica verde, disseminate su un enorme sterrato. Di tanto in tanto si incrociano gru e scavatori: pezzo a pezzo, gli ex combattenti costruiscono, con il contributo del governo, le infrastrutture di base. In teoria, doveva essere già tutto pronto nove mesi fa. Ma Bogotà è in ritardo. In questa Zona, il 27 giugno, è stato chiuso il bidone bianco con l’ultima arma degli ex guerriglieri. «Per i primi sei mesi, siamo stati in 580. Da quando possiamo spostarci liberamente, siamo rimasti in 460», dice Pedro Leal. «Beh questo è il mio nome di battaglia: lo scelsi in onore a mio padre e al mio maestro, assassinato.

Ormai, però, lo sento mio: lo porto da 31 anni». Pedro dice di essersi unito alla guerriglia per «sfuggire alla persecuzione politica. Stavano ammazzando tutti gli attivisti comunisti. Ho preso le armi per necessità: adesso, però, credo che possiamo realizzare il cambiamento con le parole. Sempre che ci lascino parlare… ». Pedro è della “vecchia guardia” delle Farc, quella più ideologizzata e militante. Diego, invece, 30 anni, appartiene alla nuova. «Sono del Meta, da sempre roccaforte delle Farc. I militari trattavano gli abitanti come guerriglieri, anche se erano solo contadini. Quando in casa sono finiti i soldi per farmi studiare, ho dovuto scegliere se unirmi all’esercito, che ci maltrattava, o alle Farc. Ho optato per queste ultime, come molti compagni di scuola: solo qui siamo in dieci. Avevo 15 anni », racconta il giovane.

Diego, come Pedro, ha deciso di utilizzare la ritrovata libertà di movimento per andare oggi a Villavicencio a vedere papa Francesco. «Saremo là in tantissimi dalla Zona, mescolati fra la gente per rendere omaggio a quest’uomo di pace», affermano. Yoana, 36 anni, porterà anche Nicole, che venerdì scorso ha compiuto due mesi. «Sono cattolica, anche se da molto non vado a Messa», aggiunge mentre mostra la figlia, accovacciata nell’amaca, nel patio di una tenda nascosta da una selva di panni stesi e parabole. Nicole è uno dei venti nuovi nati nella Zona. Altre nove ex guerrigliere sono incinta. «È una figlia della pace. Prima, con la guerra, non avrei potuto averla. Già era abbastanza duro essere donna e combattente, figuriamoci madre», sottolinea la ragazza, anche lei entrata nelle Farc a 15 anni e, poi, diventata “medico da campo”.

«Vorrei poter completare la mia istruzione». Carlina guarda madre e figlia con tenerezza. Si fa fatica a credere che questa ragazza di vent’anni sia stata vittima della guerriglia. «Le Farc hanno ucciso mio zio e ci hanno cacciato di casa per tre volte», afferma Carlina che, insieme ad Alejandro Hernández, psicologo, lavora al progetto della Commissione di conciliazione della Conferenza episcopale colombiana. In sei Zonas veredales la Chiesa ha creato un corso di educazione alla pace per gli ex guerriglieri e la comunità intorno. «Non dico che sia facile per me essere qui – racconta Carlina –. All’inizio non volevo nemmeno stringere loro la mano.

Ma guardandoli negli occhi, ho scoperto che non sono mostri. Solo esseri umani. E gli esseri umani, spesso, sbagliano». «Non ho timore di questo momento di transizione – conclude Diego –. La mia unica paura è che ricominci la guerra. Molte volte penso che se governo e Farc avessero trovato un accordo 20 anni fa, io avrei avuto una vita normale. E ora coltiverei caffè in una fattoria».