Chiesa

Ucraina. «Kirill strettamente legato al Cremlino. Impensabile un suo "no" al conflitto»

Riccardo Maccioni mercoledì 9 marzo 2022

Kirill, patriarca ortodosso di Mosca

Il rapporto, molto stretto, con il Cremlino, il dialogo ecumenico e, soprattutto, interno. Non c’è dubbio che il conflitto in Ucraina rappresenti una sfida complessa per la Chiesa ortodossa russa. Sollecitato a esporsi, anche da qualche malumore intestino, domenica il patriarca Kirill ha preso posizione, legittimando di fatto l’offensiva di Putin, alla cui base ci sarebbe la lotta a modelli di vita contrari al cristianesimo. Sotto accusa soprattutto le parate gay, test di appartenenza, meglio di lealtà, all’impero occidentale «del consumo eccessivo» e «della libertà visibile». Chi si oppone, come le repubbliche del Donbass, all’imposizione di «un peccato condannato dalla legge di Dio», rischia la distruzione, innanzitutto morale. «La posizione del patriarca Kirill – osserva Enrico Morini professore dell’Alma Mater Università di Bologna, già docente di Storia e istituzioni della Chiesa ortodossa – è estremamente difficile e non credo che ci si possa aspettare da lui una condanna esplicita di questa folle guerra, anche se senza dubbio ne è cristianamente addolorato. In questi tredici anni egli ha instaurato con il presidente Putin un legame molto forte, fondato su di un comune modello di società, aliena da valori importati dalla società occidentale. Non è un caso che nell’omelia di domenica egli abbia parlato in riferimento al Donbass - teatro di guerra come di un luogo dove a suo giudizio si tentava di imporre una “cultura antropologicamente decadente della civiltà occidentale”. Inoltre è indubbio che, considerandosi patriarca anche dell’Ucraina, egli veda nell’attuale dirigenza di quel paese un impulso fortemente disgregatore dell’unità, fondata sulla comune fede ortodossa, tra tutti i popoli dell’antica Rus’ (Russia, Ucraina e Bielorussia). Infine la Chiesa russa, per procedere, dopo il settantennio delle persecuzioni, nella ricostruzione delle sue strutture e nella rievangelizzazione del paese, sente importante l’appoggio del potere».

Enrico Morini, già docente di Storia e istituzioni della Chiesa ortodossa - .

Forti critiche alla guerra sono invece arrivate dal metropolita Onufriy che guida la Chiesa ucraina fedele al patriarcato di Mosca: è pensabile che il conflitto in corso porti a un cambiamento dei rapporti di forza intraortodossi?
La posizione del metropolita Onufriy è ancor più lacerante: egli è ucraino e la sua è una Chiesa autonoma, ma inserita nel patriarcato di Mosca del cui Sinodo egli è membro. Non poteva pertanto non schierarsi con il suo paese e lo ha fatto con coraggio. Ma non saprei dire se questo basterà a sanare il disagio della sua Chiesa, drammaticamente divisa tra la fedeltà alla nazione ucraina e quella alla sua dipendenza da Mosca. Si sono visti i primi segni di questo disagio: un vescovo, il superiore del monastero di Pocajïv e altri sacerdoti si sono astenuti dal commemorare nella liturgia il patriarca Kirill e questi ha dichiarato che ciò equivale a uno scisma. Del resto è assai probabile che Onufriy, già fedele al proprio paese, rimanga fedele anche alla sede patriarcale. Lo prova il fatto che, dopo avere chiesto in passato l’autocefalia per la propria Chiesa, si era adeguato al rifiuto di Mosca.

C’è poi la Chiesa ortodossa autocefala ucraina guidata dal metropolita Epifanyi, il cui riconoscimento da parte di Bartolomeo I è alla base della rottura tra quest’ultimo e Kirill, tra il patriarcato ecumenico di Costantinopoli e il patriarcato di Mosca.
Il rapporto tra la consistenza numerica delle due Chiese ucraine - moscovita e autocefala - non è uniforme in tutto il paese (comprensibilmente nelle zone russofone quella di Onufriy è fortemente maggioritaria). Considerando le diocesi e le parrocchie (è inattendibile una stima del numero dei fedeli) mi risulta che la Chiesa autonoma sia poco meno del doppio di quella autocefala. In realtà quando quest’ultima è nata al Concilio di unione del 2018 solo due vescovi della Chiesa di afferenza moscovita (su nove che alcuni si aspettavano) sono passati alla Chiesa autocefala.

È possibile che questo conflitto cambi la geografia del mondo ortodosso?
È difficile prevederne le conseguenze nel quadro generale dell’ortodossia ucraina. Si può ipotizzare un travaso di fedeli - e forse anche il passaggio di qualche vescovo dalla giurisdizione russa di Onufryi a quella autocefala di Epifanyi, a causa della generale esasperazione antirussa della popolazione, ma è impossibile prevedere in quale misura. A mio giudizio due sono i punti fermi. Pur nell’assunto che alla fine di ogni guerra non ci sono vincitori ma tutti sono sconfitti, se prevarrà l’Ucraina credo che la Chiesa russa di osservanza moscovita continuerà a esistere, soprattutto in forza della solidarietà di Onufryi con il proprio popolo: la dipendenza da Mosca è per lei un fattore identitario. Se invece prevarrà la Russia credo che questa Chiesa manterrà comunque la propria autonomia nell’ambito del patriarcato russo (come ha conservato giurisdizione sulla Crimea anche dopo l’annessione russa). Per la Chiesa di Mosca perdere ogni giurisdizione sull’Ucraina vorrebbe dire vedere pesantemente ridimensionato il proprio primato numerico nell’ortodossia (delle sue 30000 parrocchie ben 12000 sono in Ucraina, con una ipertrofia dovuta all’esigenza ortodossa di fronteggiare la Chiesa greco- cattolica).

Nei giorni scorsi 236 tra preti e diaconi ortodossi russi hanno firmato un appello contro l’invasione dell’Ucraina. La leadership di Kirill è meno salda?
Non credo che il dissenso pubblico di questi ecclesiastici possa indebolire il ruolo guida del patriarca Kirill (semmai è segno di una diminuzione del suo prestigio). Molto più deleteria sarebbe, in merito al suo ruolo ecclesiastico e istituzionale, una rottura con Putin, dato lo sfrenato autoritarismo del presidente.