Chiesa

Migranti. «Io, vescovo d’Albania, che a 16 anni sono arrivato in Italia su un barcone»

Giorgio Paolucci giovedì 23 marzo 2023

Arjan Dodaj, arcivescovo di Tirana-Durazzo

Aveva sedici anni quando, nel 1993, salì su un motoscafo insieme a quaranta connazionali per venire in Italia, l’Eldorado sognato da tanti albanesi in fuga da una terra segnata dalla dittatura comunista e da una devastante crisi economica. Trent’anni dopo si ritrova a essere arcivescovo della diocesi di Tirana-Durazzo e a guidare una Chiesa che conosce una nuova fioritura. La storia di monsignor Arjan Dodaj sembra davvero segnata da un disegno provvidenziale che ha molto da insegnare a tutti noi.

Dopo l’approdo sulle coste pugliesi, il trasferimento a Cuneo dove con l’aiuto di alcuni connazionali comincia a lavorare: saldatore, giardiniere, muratore, tutto ciò che è utile per campare.

Poi l’incontro con alcuni giovani della Casa di Maria, una comunità di preghiera particolarmente devota alla Madonna, con i quali nasce «un’amicizia sincera e gratuita che mi ha fatto riscoprire il volto amico di Dio – racconta –. Un volto che da piccolo avevo solo intuito, vedendo mia nonna che ogni sera si affacciava alla finestra e guardava la stalla di fronte a casa tenendo in mano una catenina con noccioli di ulivo. Solo più tardi capii che era una corona del Rosario senza segni religiosi e venni a sapere che al posto della stalla, prima del comunismo, c’era la chiesa del paese. Ricordo anche che la nonna mentre si occupava delle faccende domestiche canticchiava sottovoce, e quando sono venuto in Italia ho riconosciuto le parole di alcune preghiere. Era un modo per conservare nel segreto ciò che aveva imparato a memoria da ragazza, ed è così che i nostri vecchi ci hanno trasmesso la certezza che Dio è sempre presente, anche quando le circostanze costringono a tenere nascosta la fede».

Insieme ai giovani della comunità incontrata a Cuneo, Arjan conosce l’esperienza di Medjugorie e sente crescere il fascino per il cristianesimo, fino a maturare la decisione di intraprende il percorso verso il Battesimo che riceve nel 1994. «Mi sentivo letteralmente afferrato da Cristo, e intuivo che come il Signore aveva donato tutto se stesso per l’uomo, anche a me veniva chiesta una donazione totale a Lui».

Nel suo cuore nasce la vocazione alla vita religiosa, coltivata nella Fraternità dei Figli della Croce a Roma, fino all’ordinazione sacerdotale nel 2003 per le mani di Giovanni Paolo II. Negli anni successivi svolge il suo servizio come parroco e cappellano della comunità albanese a Roma, opera nella borgata del Trullo finché nel 2017 torna nella sua terra come sacerdote fidei donum su richiesta dell’arcivescovo di Tirana-Durazzo, George Frendo, ne diventa poi vicario e nel 2021 suo successore.

La Chiesa in Albania ha radici molto antiche: un villaggio vicino a Tirana è intitolato a san Pietro in ricordo del suo passaggio; nella Lettera ai Romani san Paolo ricorda la sua opera di evangelizzazione in Illiria, il primo vescovo della diocesi di Durazzo fu san Cesare, uno dei 72 discepoli di Gesù, che conobbe la morte nel martirio. Dopo i secoli di dominazione ottomana, seguiti dalla dittatura comunista che aveva proclamato e attuato l’ateismo di Stato, la Chiesa cattolica sta conoscendo una primavera segnata dalla presenza di tanti giovani.

«Le nuove generazioni hanno una sana curiosità nei confronti della fede e, a differenza dei loro genitori, possono esercitarla nella libertà. Se incontrano una proposta che parla al loro cuore sono disponibili a seguirla, senza pregiudizi e sovrastrutture. L’anno scorso nella notte di Pasqua in duecento hanno ricevuto il Battesimo nelle quattro parrocchie di Tirana, più della metà provenivano da famiglie di tradizione musulmana: questo è possibile anche per il clima di amicizia e dialogo presente tra le diverse fedi, che papa Francesco nel suo viaggio apostolico del 2014 ha citato come esempio di cooperazione fraterna».

Molte sono le occasioni di collaborazione con musulmani e ortodossi negli ambiti della cultura, delle donne, della carità e dei migranti: su questo fronte l’arcivescovo Dodaj è impegnato anche come presidente della Caritas albanese, che in questi anni ha affrontato gli arrivi di migliaia di profughi siriani, afghani e iracheni lungo la rotta balcanica.

«Il nostro popolo conosce bene l’esperienza della migrazione, che purtroppo continua e ha determinato l’emorragia di risorse giovani e la perdita di tanto capitale umano. Le autorità devono intervenire responsabilmente per favorire l’istruzione e varare provvedimenti che inducano i giovani a restare. E anche chi investe nel nostro Paese non deve farlo all’insegna dello sfruttamento: penso alle tante persone che lavorano per troppe ore e con retribuzioni inadeguate nei call center delocalizzati in Albania. La Caritas è molto impegnata sul fronte della povertà, la Chiesa nelle sue articolazioni si misura con la sfida di permettere a tutti di incontrare un Dio vivente, venendo incontro alle necessità della gente e testimoniando che Cristo è il volto della salvezza. Come è accaduto a me quando a sedici anni sono arrivato in Italia per cercare una vita migliore».