La storia. «Io, unico prete in Bhutan con 200 cattolici. Grazie a Madre Teresa»
Padre Kinley Tshering mentre distribuisce l'Eucaristia ad alcuni cattolici buthanesi
«Grazie per aver voluto contattare la Chiesa meno conosciuta del mondo!». Così ha risposto alla nostra prima email padre Kinley Tshering, che è l’unico sacerdote cattolico attivo oggi in Bhutan e l’unico sacerdote di sempre di nazionalità bhutanese. Gesuita, 67 anni, serve i bisogni spirituali dei circa 200 cattolici che vivono nel piccolo Paese asiatico – che di abitanti ne conta 790mila – ai piedi dell’Himalaya. Un Paese che ha al suo vertice un re, dove il buddhismo vajrayana è religione di Stato – il che lo rende culturalmente molto più simile al Tibet che al vicino Nepal – appartato e fiero della sua indipendenza. «Il Bhutan non è mai stato colonizzato – sottolinea nella nostra conversazione su Zoom padre Tshering, che si trova a Thimphu, la capitale – stretto tra il grande elefante a sud, l’India, e il grande drago a nord, la Cina, in qualche modo è sempre riuscito a rimanere libero».
In che tipo di famiglia lei è nato?
In una famiglia ovviamente buddhista e posso dire privilegiata. Mio nonno lavorava per la famiglia reale, mio padre anche, così come altri parenti. Ciò mi ha permesso di studiare in scuole di alto livello. L’educazione primaria e poi quella secondaria l’ho completata a Darjeeling (nello Stato indiano del Bengala Occidentale, ndr) in scuole cattoliche. Prima di entrare nei gesuiti sono stato il primo bhutanese a ottenere un MBA, nel 1983, all’Institute of Management di Bangalore, che è considerata la Harvard indiana.
Il cristianesimo l’ha incontrato a scuola?
Prima, quando avevo 5 anni. Mia sorella maggiore, che studiava già in una scuola cattolica in India, venne a casa per le vacanze invernali con alcune cartoline di auguri di Natale. Mi colpirono le immagini di Giuseppe, Maria e Gesù Bambino. Quando iniziai ad andare anch’io a scuola mi resi conto che l’uomo che vedevo sulle croci appese alle pareti e il bambino delle cartoline erano la stessa persona. Allora cominciai a fare delle domande alle suore e l’idea di farmi cristiano si affacciò alla mia mente.
Ma a scuola si parlava di Gesù Cristo?
L’educazione era molto secolare, cioè chi era cristiano andava a Messa e seguiva le cose dei cristiani, chi non lo era seguiva la sua strada. Io seguivo la mia, in cui sentivo un’attrazione per Cristo. Al liceo dissi ai gesuiti che gestivano la scuola che volevo essere battezzato. Mi risposero che era meglio che aspettassi la maggiore età, ma io sentivo che era arrivato il momento. Ne parlai allora con dei salesiani e fu uno di loro, un italiano, a battezzarmi. Commentò: «Kinsley è meglio farlo ora, supponi di morire stanotte, sarebbe terribile». Così mi ritirai in disparte mezz’ora per prepararmi spiritualmente e poi fui battezzato. Era il 18 maggio 1974, avevo 17 anni.
Come la presero a casa?
Per due anni tenni segreta la cosa. Quando lo dissi mio padre si arrabbiò moltissimo, mia madre fu invece più morbida, vedendomi contento. Fui chiamato a colloquio anche dal re, sua maestà Jigme Singye Wangchuck. Gli spiegai che avevo trovato la pace seguendo Gesù Cristo e lui mostrò di comprendere le ragioni della mia scelta, mi disse solo di non dimenticare mai due cose: la cultura da cui provenivo e il Paese a cui appartenevo. Non l’ho mai fatto.
E quando decise di diventare sacerdote?
Dopo il master tornai in Bhutan, dove ho lavorato per tre anni come manager nella seconda azienda del Paese. La mia famiglia mi faceva pressione perché mi sposassi. Io cullavo l’idea di diventare gesuita, ma non avevo le idee chiare. I gesuiti poi – alcuni, non tutti – mi dissuadevano, mi dicevano che non dovevo scambiare l’entusiasmo del neofita per una vocazione sacerdotale. Nel dilemma chiesi a Dio un segno. Una sera volai dal sud dell’India a Calcutta e in aereo mi ritrovai vicino niente meno che Madre Teresa. Parlammo lungo il viaggio e le confessai il mio tormento interiore. A un certo punto lei mi prese la mano e mi rivolse queste parole: «Non l’ho detto a tanti giovani, ma a te lo dico: sono sicura che tu abbia la vocazione, non aver paura di dire sì a Dio, vai avanti». Iniziai a piangere, tanto che la hostess mi portò dei fazzoletti di carta. Quella sera ricevetti la risposta che avevo chiesto. Nel 1986 entrai nei gesuiti.
Padre Kinley Tshering in uno dei suoi incontri con Madre Teresa di Calcutta, che ebbe un ruolo decisivo nel confermarlo nella scelta vocazionale - .
Dove ha svolto il suo apostolato da gesuita?
Ho conseguito un master in educational administration in Canada e poi ho insegnato in India tanti anni. In Bhutan tornavo per brevi visite ma non avevo il coraggio di tornarvi in pianta stabile, di confrontarmi con l’opposizione della gente, temevo la vergogna. Sapevo però che un giorno avrei dovuto farlo. Nel 2008 il re del Bhutan ha approvato una costituzione che ci permette di praticare la nostra fede in case private senza il timore di essere arrestati, com’era in precedenza. Nel 2018 mi sono trasferito in quello che era ed è il mio Paese.
I cattolici in Bhutan che origine hanno? Ci sono anche altre confessioni cristiane?
I cattolici per metà sono figli di famiglie cattoliche, per metà convertiti. Ci sono anche protestanti, pentecostali, cresciuti di numero negli ultimi 10-20 anni. Se noi siamo duecento loro saranno duemila. Hanno un approccio che potremmo definire irruente, che a volte crea problemi anche a noi, nel senso che le persone con un livello di istruzione alta capiscono la differenza tra cattolici e protestanti, ma la gente comune no. I protestanti fanno più numeri di noi, ma noi curiamo maggiormente la formazione spirituale e dottrinale, affinché le persone capiscano bene la fede che professano e la sappiano difendere pubblicamente.
Quali sono gli aspetti del buddhismo vajrayana su cui può far leva l’annuncio cristiano?
La gente apprezza la nostra ritualità liturgica, con l’incenso, le candele, capisce più una religiosità espressa in questo modo che semplicemente con la parola e il canto. Un concetto chiave per loro è la reincarnazione: la colpa che porta a reincarnarsi in altro essere vivente, in un ciclo che viene interrotto solo dal raggiungimento dell’illuminazione, può aprire al concetto di peccato e alla vera liberazione dalla colpa portata da Cristo. Prestano poi grande attenzione alla mente, alla sua purificazione attraverso la meditazione, lo yoga, al controllo della mente sul corpo. L’idea che Gesù abbia compiuto azioni straordinarie in quanto Dio, calato dall’alto, li tocca poco, l’idea che l’abbia fatto non solo in quanto Dio ma anche in quanto uomo perfettamente realizzato, che ha attuato il pieno controllo della mente sulla materia, li colpisce.
Cosa porta con sé della cultura buddhista?
Nella preghiera uso molto la meditazione buddhista, come il vipassana: sedendomi, concentrandomi su un pensiero o un oggetto, ispirando ed espirando. Anche per l’adorazione eucaristica.
Il monastero buddhista di Taktsang, nella Valle di Paro, nel Buthan occidentale - .
Dove celebra la Messa?
Questa è la mia chiesa (sorride mostrando una valigetta nera, ndr). Qui dentro ho tutto l’occorrente per la Messa. Giro il Paese celebrandola nelle case, come i primi cristiani. Mi capita di viaggiare in macchina anche 14 ore al giorno, può essere molto faticoso, ma ho sempre davanti a me l’esempio dei missionari che ho conosciuto, della loro incredibile abnegazione.
In questi lunghi viaggi vedrà dei paesaggi suggestivi.
Sì e mi fa venire in mente un episodio che non dimenticherò dell’estate appena trascorsa. Ho celebrato la Messa in un posto bellissimo in montagna, a 4.900 metri d’altezza, ma in una situazione drammatica. Ero andato a fare una gita con quattro ragazzi, tutti buddhisti. Il tempo era buono, ma mentre salivamo il cielo aveva iniziato a scurirsi. Quando siamo arrivati in cima non si vedeva più niente. Ci siamo ritrovati in mezzo alle nuvole. Ci avevano vivamente sconsigliato di tornare per il sentiero che avevamo percorso all’andata, fatta di rocce aspre e taglienti, dicendoci di scendere per la via percorsa dagli yak. Solo che non la trovavamo. In quel momento ho avuto paura, anche se ho cercato di non mostrare nulla ai ragazzi. Ho pensato che saremmo rimasti bloccati lì e saremmo morti di ipotermia nella notte. Allora ho cercato un angolo riparato e ho celebrato la Messa. Ho pregato per tutto il Bhutan, per tutta la mia gente. Dopo pochi minuti la nebbia si è diradata, è tornato il bel tempo e abbiamo trovato la strada per il ritorno. I ragazzi stupiti hanno esclamato che ero un Rinpoche, cioè un lama di livello superiore.
Un momento di preghiera guidato da padre Kinley Tshering - .
Un suo auspicio per il futuro?
Ho pregato Dio così: “Prima che io muoia, dona al Bhutan un altro sacerdote. Non te ne chiedo nemmeno due, solo uno”. Dio mi ha dato tutto, non so se vorrà esaudire anche questa mia ultima richiesta, ma lo spero vivamente.
Un messaggio per i cattolici che la leggeranno in Italia?
Quando ero in Canada per il master, diverse volte sono stato invitato a parlare della mia vita, della mia vocazione. Spiegavo perché ero diventato cattolico in questo modo: perché sono pigro! Perché per andare in paradiso non devo meditare fino all’estenuazione fissando il mio ombelico, non devo far complicati esercizi di yoga, né lunghi rituali e pellegrinaggi ecc. Come un ladro quale sono guardo Gesù sulla croce e Lui mi dice: “Oggi sarai con me in paradiso”. Voi occidentali non avete bisogno di venire in Oriente a cercare ciò che avete già nel vostro splendido giardino, Gesù e il cristianesimo, che è il fondamento della vostra cultura!