La storia. I giovani del Camerun hanno un padre italiano: «Diamo loro un futuro»
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«Cosa posso far nascere di buono qui?»: è questa la domanda che ogni cristiano è chiamato a porsi in qualsiasi luogo egli si trovi a vivere e operare. È lo stesso quesito che si è posto padre Danilo Fenaroli, trentenne missionario del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere), quando – nel 1990 – giunge a Mouda, villaggio nell’estremo nord del Camerun, oggi minacciato dalla presenza dei terroristi di Boko Haram. Appena arrivato si rende conto del grave stato di abbandono nel quale vivono i giovani disabili fisici e mentali, considerati dalla popolazione vittime di maledizione. Nel nord non esiste alcun centro dedicato a loro. Padre Danilo si propone dunque di dar vita a una struttura dallo stile familiare che possa ospitarli e assisterli, una realtà non riservata ai soli disabili per evitare che venga considerata un ghetto.
Per questa ragione il missionario desidera che questa struttura dia accoglienza anche a bambini in difficoltà e offra attività formative per i giovani. Nel 1997 nasce il Centro Betlemme. Passano gli anni, il Centro cresce: oggi si estende su un’area di 45 ettari e comprende anche una fattoria. Qui crescono insieme e sono amorevolmente assistiti 180 bambini e ragazzi cristiani e musulmani: molti sono disabili che – seguiti con competenza e dedizione e anche grazie alle attività di riabilitazione e fisioterapia – nel corso degli anni migliorano conquistando sempre maggiore autonomia. Vi sono anche 56 neonati orfani di mamma (morta durante o subito dopo il parto) che vengono affettuosamente accuditi prima di fare ritorno, dopo due anni, nelle famiglie di origine.
Al Centro vivono anche 23 pastorelli orfani che crescono sereni e frequentano la scuola elementare interna, una scuola inclusiva che accoglie anche 51 bambini sordi cui si aggiungono numerosi piccoli provenienti dai villaggi vicini. Allo stesso modo l’asilo interno è riservato non solo ai bimbi residenti del Centro ma anche a quelli che vivono nei dintorni. Qui, inoltre, per nove mesi all’anno, sono ospitati più di 150 giovani che frequentano i corsi ideati da padre Danilo: taglio e cucito, tintura, falegnameria, lavorazione del cuoio, edilizia, agricoltura e allevamento.
Bambini, ragazzi, giovani sono seguiti da 180 operatori: insegnanti, medici, fisioterapisti, infermieri, assistenti sociali. Sono cristiani e musulmani. Racconta padre Danilo: «Tra noi operatori c’è affiatamento, complicità, un clima bello di concordia e familiarità. La diversa appartenenza religiosa non è motivo di divisione: lavoriamo uniti, condividendo gioie e preoccupazioni, mossi dal comune intento di restituire il sorriso e la speranza a giovani vite provate da sofferenze e solitudine. Tra i bambini e i ragazzi cristiani e musulmani del Centro i rapporti sono sereni, così come quelli tra le loro famiglie. Allo stesso modo sono sereni i rapporti con le moltissime persone che ogni giorno vengono qui dai villaggi vicini sia per fare riabilitazione sia per acquistare i prodotti della fattoria e quelli realizzati dai giovani. Noi ci impegniamo molto per creare un clima accogliente che favorisca legami amichevoli fra tutti. Con gli imam locali e i capi villaggio (che sono sempre musulmani) c’è grande rispetto e anche proficua collaborazione: ad esempio, ogni anno li incontro per presentare i nostri corsi di formazione e sono poi loro a contattare i ragazzi incoraggiandoli a iscriversi».
Dal 2003 padre Danilo ha deciso di condividere la responsabilità della sua opera con l’associazione internazionale dei Silenziosi operai della Croce: «Unire le forze è un’esperienza bella – dice – ed è fondamentale per assicurare continuità, futuro e qualità alle cure e alle premure offerte alle giovani vite che sentiamo affidate alla nostra responsabilità». Grazie a questa feconda alleanza sono stati avviati progetti anche nella vicina città di Maroua: in particolare, sino ad oggi sono stati aperti un centro diurno per disabili, una scuola materna e una casa famiglia per ragazze madri. «Inoltre – aggiunge padre Danilo – con il prezioso e generoso sostegno della CEI e della Fondazione Pime stiamo continuando a portare avanti nei villaggi sia l’installazione di pozzi d’acqua sia la realizzazione di piccoli orti che assicurano sostentamento e lavoro a tante giovani famiglie cristiane e musulmane». Voler bene generando vita buona: così funziona la logica della generazione di Dio.