Il silenzio? Non è una «fuga dalla parola» ma è anzi una «piazza» che apre all’ascolto, al dialogo all’espressione di una parola «più densa di significato». Secondo padre Antonio Spadaro, direttore de «La civiltà cattolica», è in questa prospettiva l’autentico valore profetico del messaggio di Benedetto XVI per la Giornata della comunicazioni sociali.
Padre Spadaro, in cosa consiste la complementarietà tra silenzio e parola di cui parla il Papa?
Normalmente silenzio e parole vengono considerati in opposizione tra loro, ma tale visione non rispecchia la comunicazione umana, basata su una stretta relazione tra parola e silenzio insieme. Il silenzio, però, non è solo una pausa del discorso, che permette all’altro di parlare e che quindi apre all’ascolto e al dialogo. Il Papa, infatti, fa un passo avanti e afferma che di fatto il silenzio è «funzionale» all’espressione: permette, cioé, di esprimere una parola più densa di significato. Il silenzio, insomma, per il Papa non è una condizione di vuoto o di assenza, ma è quasi una «piazza» che permette l’incontro e l’espressione di un significato più profondo. Questa prospettiva rappresenta un punto di discontinuità rispetto ai discorsi ovvi che si fanno oggi sui media, laddove si parla della necessità di ritirarsi dal caos e dal frastuono del flusso mediatico, di fuggire dall’eccesso di informazione. Il Papa, invece, fa sua la richiesta, già indicata dalla poesia, di una parola «scavata» nel silenzio, per dirla con Ungaretti.
Cosa intende Benedetto XVI quando parla di «ecosistema» della comunicazione?
Il concetto di «ecosistema» fa riferimento a un ambiente comunicativo composto insieme da silenzio e parole, in un equilibrio da rispettare se lo si vuole «propizio». Da questa affermazione del Papa si capisce che l’ambiente della comunicazione non è il silenzio (per parlare c’è bisogno di silenzio) ma piuttosto il bilanciamento tra una serie di elementi, inclusi suoni e immagini, che oggi giocano un ruolo importante.
L’invito all’equilibrio è da intendersi rivolto ai professionisti della comunicazione?
In realtà il messaggio di quest’anno «detecnologizza » la comunicazione, considerandola come una dimensione antropologica fondamentale quotidiana senza lo specifico riferimento a singole tecnologie. A mio parere questo implica anche il fatto che il giornalismo non è più solo un mestiere ma una dimensione antropologica, che fa parte della vita di tutti. Quello del Papa quindi è un messaggio aperto che tocca la struttura fondamentale del comunicare.
La rete oggi non è solo internet ma la struttura del comunicare. Che visione propone di questa struttura il Papa?
Il rischio oggi è quello di opporre per banalizzazione la rete e il silenzio. Invece il Papa afferma che anche in rete si aprono vari spazi di silenzio, di riflessione, di meditazione. È un’intuizione notevole che scardina i luoghi comuni: l’ambiente digitale può essere anche un ambiente di preghiera e quindi di evangelizzazione. Benedetto XVI, inoltre, ricorda che la rete è il luogo delle domande e delle risposte, dimostrando così di comprendere bene la dinamica della comunicazione contemporanea. Il Papa, infatti, è consapevole che mentre un tempo l’uomo si poneva domande ed era alla ricerca di risposte, oggi mancano le domande appropriate. Su questo punto l’originalità del messaggio del Papa sta nell’affermare che il silenzio è il luogo dove non solo si trovano le risposte ma si impara a riconoscere le domande giuste.
Quando afferma la possibilità di esprimere pensieri profondi in brevi messaggi il Papa pensa a piattaforme come Twitter?
Forse, ma non solo. Di certo è un richiamo che valorizza tutta una tradizione spirituale cristiana basata sulla meditazione di brevi messaggi, poche parole dal significato denso e profondo. Una tradizione che oggi, in maniera inaspettata, viene riportata in luce dalle piattaforme digitali. Benedetto XVI ricorda che anche in questi strumenti, per le persone formate spiritualmente, è possibile trovare una consonanza piena con forme espressive basate su una sapienza che fa uso di poche ma dense parole.
La chiave di volta allora è l’appello finale all’«educarsi alla comunicazione»?
Mi colpisce l’uso del riflessivo nel verbo «educarsi ». Il Papa invita così a non cadere in facili giudizi superficiali per capire in prima persona le dinamiche profonde della comunicazione. Non è più possibile essere spettatori passivi oggi, cioè al tempo della informazione che passa per condivisione di contenuti. È necessario educarsi ad essere protagonisti.