«Un membro della delegazione del governo del mio Paese mi ha detto "eravamo in trecentomila in piazza san Pietro a festeggiare papa Francesco; questa certamente non è una Chiesa in rovina…"». Il cardinale Oscar Andres Rodriguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa in Honduras, è visibilmente contento dell’elezione a vescovo di Roma di un suo confratello latino americano. «La Chiesa – spiega – è una grande entità storica, ma anche trascendente. Quelli che la giudicano con criteri esclusivamente umani non la capiscono, perché, come dice il Vaticano II, la Chiesa è immanente e trascendente, umana e divina, naturale e soprannaturale. Una Chiesa che ha sofferto tante crisi nella storia e continua a soffrirne è una prova chiarissima che non è una iniziativa puramente umana; si serve degli esseri umani ma è il frutto di un desiderio espresso dal Signore Gesù che ha detto: "Io sarò con voi fino alla fine dei tempi"». Incontriamo il porporato salesiano alla Pontificia Università Lateranense, dove il rettore, il vescovo anche lui figlio di don Bosco, Enrico dal Covolo, lo ha invitato a parlare al primo incontro internazionale dei giovani cattolici per la giustizia sociale. Il cardinal Rodriguez Maradiaga, nonostante un piede fratturato, non ha voluto mancare all’appuntamento per parlare sul tema «Que saliò mal?», «Cosa è andato male?», denunciando, tra l’altro, il «clima di relativismo assoluto» respirato dalle «nuove generazioni» che porta alla rivendicazione dei «cosiddetti "nuovi diritti"» non proclamati «per amore della libertà personale, come sono solito dire, ma per interessi economici e politici». «Basti pensare – ha aggiunto – all’eutanasia per ricordare i grandi affari che si nascondono dietro la finta maschera della pietà e della misericordia».
Eminenza, il titolo della sua relazione sembra paradossale, vista la sua gioia per l’elezione del nuovo Papa…Era il titolo che mi avevano dato quando mi avevano invitato alcuni mesi fa, e in effetti se si pensa allo stato della giustizia sociale è attualissimo. Ma ora è vero che suona anche paradossale, perché tutto ci è andato bene con l’elezione di papa Francesco che è veramente un grande successo per la Chiesa.
In che senso?Non in chiave mondana, ovviamente. Era necessaria una grande speranza. E l’elezione di papa Francesco è un segno di speranza perché vuol dire che la Chiesa è veramente cattolica, ed è presente in tutti i continenti del mondo. Così il Continente della speranza ha potuto offrire alla Chiesa universale il sommo Pontefice.
Il fatto che il nuovo Pontefice sia un religioso le ha provocato qualche gioia particolare?Certamente, noi religiosi siamo in qualche modo un’avanguardia missionaria nella Chiesa. Dove c’è una missione lì si trovano i religiosi. Questa elezione è un segno di speranza per la vita consacrata che in alcune sue componenti è in crisi. Noi svolgiamo un servizio gerarchico come supplenza ma ci dà gioia vedere un religioso che diventa Papa.
Cosa ha sentito alla scelta del nome Francesco?Ho provato una emozione enorme fino alle lacrime. Sono un grande ammiratore di san Francesco d’Assisi, sono un francescano affiliato all’ordine anche se la mia identità è quella salesiana. Più della metà del mondo vive nella povertà. E questo nome è un programma di vita e di servizio che dà forza a tutti noi per continuare nel lavoro apostolico dell’opzione preferenziale per i poveri.
Il Papa da cardinale ha usato parole forti sulla crisi economico finanziaria e su come si è sviluppata la globalizzazione…Parole sante. Una globalizzazione ridotta solo all’aspetto finanziario e speculativo è un errore terribile perché l’economia è per l’uomo e l’essere umano è stato messo ai margini della vita economica di cui invece dovrebbe essere il protagonista. Si cerca di manipolare l’uomo ma non si cerca il bene della persona umana.
Lei è anche presidente della Caritas internationalis. Cosa si aspetta dal Papa in questa veste?Ho ben presente delle parole bellissime e forti allo stesso tempo che il Papa, quando era ancora il cardinale Bergoglio, ha espresso alla Caritas argentina e so che conosce perfettamente il ruolo della Caritas e che avremo un grande appoggio da parte sua.
Papa Francesco ama definirsi soprattutto vescovo di Roma…È l’ecclesiologia del Vaticano II. È la collegialità che lui ha sempre esercitato, come presidente della Conferenza episcopale argentina e anche in altri ambiti, come ad esempio alla quinta Conferenza generale dell’episcopato latinoamericano celebrato ad Aparecida nel 2007, dove presiedeva il comitato di redazione del documento finale. Per me è il rinvigorire dell’ecclesiologia di comunione voluta dal Concilio.