Intervista. Nunzio Galantino a capo dell'Apsa: «In Cei un'esperienza di famiglia»
Papa Francesco con monsignor Nunzio Galantino
Ha preso possesso del suo nuovo incarico ieri pomeriggio alle cinque. Ma contemporaneamente resterà segretario generale della Cei fino a quando il Papa non nominerà il successore. Così, ripensando all’inizio del suo mandato, quando continuò per qualche tempo anche a fare il vescovo di Cassano allo Jonio, monsignor Nunzio Galantino scherza: «È vero, ho fatto molte volte nella mia vita il doppio lavoro, non con il doppio stipendio però». Sereno e disteso, il neo presidente dell’Apsa parla sia della «nuova avventura» che lo attende, sia dei quasi cinque anni alla Conferenza episcopale italiana.
Qual è il suo stato d’animo dopo la nomina?
Sorpresa da una parte, ma grande fiducia nella Provvidenza e gratitudine nei confronti del Papa dall’altra.
Dopo tanti anni in prima linea nella pastorale e nell’insegnamento, adesso le viene assegnato un ruolo sulla carta diverso. Ma come può l’Apsa servire la Chiesa in uscita di papa Francesco?
Molto dipende dallo spirito con cui si fanno le cose. E ne ho avuto prova anche considerando, in piccolo, l’attività di alcuni uffici della Cei. Il compito di un credente, di un prete, di un vescovo è trattare i beni materiali come cose che servono e non dalle quali farsi asservire. Quindi, all’interno delle competenze specifiche dell’Apsa, bisogna aver chiare le finalità che devono essere servite attraverso questi beni. Finalità che sono poi quelle della Chiesa, il suo servizio a Dio e all’uomo, affinché attraverso le opere sostenute dai tali beni transiti sempre il Vangelo.
Il cardinale Attilio Nicora, uno dei suoi predecessori, sosteneva al riguardo che non numen nummus, sed artifex. In pratica il denaro è un mezzo non un dio.
Sono d’accordissimo. E del resto il Papa ce lo ripete continuamente. Di per sé il denaro non è cattivo. Lo diventa quando viene utilizzato male, senza trasparenza o per scopi che portano all’asservimento e all’esclusione di singole persone o di intere categorie. A volte anche dei popoli, come purtroppo la cronaca dimostra.
Ripercorriamo questi anni alla Cei. Qual è stato il momento più bello?
Momenti belli ce ne sono stati veramente tanti, soprattutto quelli legati all’incontro con tutti i vescovi, al sentire la loro vicinanza e condividere con loro la fatica di metterci in cammino sulle strade che ci indica papa Francesco. Ho vissuto sia la gioia del cammino, sia la fatica di verificare quante energie richieda il porsi alla sequela del Santo Padre, che poi è mettersi sempre di più alla scuola del Vangelo.
Papa Bergoglio che ruolo ha avuto nella sua vita di vescovo e di segretario generale?
Di sicuro è stato un punto di riferimento straordinario. E devo ringraziarlo per la fiducia e per l’affetto che non ha mai mancato di farmi sperimentare.
C’è stato qualche momento in cui l’ha sentito più vicino?
Sicuramente l’estate del 2015, quando c’è stato su di me un fuoco incrociato, partendo da cose che non avevo mai detto o anche da affermazioni da me fatte in piena consapevolezza, ma che non mi sembravano ledere l’onorabilità delle persone. In quel momento ho letto cose, soprattutto sui social, che davvero mi hanno fatto male. Ma ho avuto molta molta vicinanza da parte del Santo Padre. Come pure da parte di altri, ma soprattutto da lui.
Si è spesso detto che la Chiesa italiana non era in piena sintonia con papa Francesco. Lei che ha vissuto dall’interno le cose, come risponde?
Secondo me, chi fa queste affermazioni, applica alla Chiesa schemi che non esistono più neanche in politica. Papa Francesco in continuità con Benedetto XVI e Giovanni Paolo II - questo va detto con grande chiarezza - ha chiesto alla Chiesa in Italia ancora più coraggio, per adottare comportamenti che fossero trasparenza di Vangelo. Penso ad esempio al suo insistere su tutta la difesa della vita, del migrante come del non ancora nato, dell’anziano come dell’operaio sfruttato. Penso all’invito a mettersi accanto alle famiglie ferite del nostro tempo e a tanti altri stimoli. È evidente che non tutto è stato subito recepito, ma non per cattiva volontà. La verità è che deve essere ancora interiorizzato interamente il lascito del Concilio Vaticano II, cioè una Chiesa che non è fatta per sé ma per gli altri e che se invece è autoreferenziale, non è la Chiesa di Gesù Cristo. Insomma, avevamo bisogno di una buona scossa da parte dello Spirito Santo. E questa scossa ce l’hanno data gli ultimi Papi. E papa Francesco in maniera abbastanza decisa.
C’è stata dunque una crescita in questi anni?
Credo che la Cei abbia continuato un cammino già iniziato. Evidentemente ognuno di noi porta la sua capacità, la sua passione, il suo linguaggio e il suo modo di relazionarsi con le persone. Ma se non avessi trovato qui un lavoro iniziato dal cardinale Bagnasco, proseguito dal cardinale Bassetti, portato avanti con grande intensità da monsignor Crociata, non avrei potuto fare niente. Ho raccolto il testimone e sono andato avanti con le mie caratteristiche. Ringrazio i due sottosegretari, l’economo e tutti i direttori e i dipendenti. Ho fatto un’esperienza di famiglia, accresciuta anche dal dono straordinario di aver condiviso l’abitazione con i direttori e gli aiutanti di studio della Cei.
E il vescovo Galantino come è cambiato?
Spero di essere cresciuto soprattutto in pazienza. E poi in alcuni momenti ho sentito sempre più forte l’esigenza di mettere nelle mani del Signore la mia vita e il mio servizio, che davvero in certi frangenti mi è parso faticoso. Ringrazio il Padreterno e inizio con fiducia una nuova "avventura". Mi fa piacere tra l’altro che tra i tanti attestati di affetto ricevuti oggi, nessuno mi abbia parlato di promozione. È evidente che stia crescendo un diverso sentire di Chiesa. E non è poco.