Il "Diario". Il cardinale Pell: preso di mira per le mie idee «tradizionali»
Il cardinale George Pell (a sinistra) presenta il suo “Diario di prigionia” alla rassegna “Ascoltare, leggere, crescere” di Pordenone. A destra Gianni Cardinale
Il cardinale George Pell è una delle grandi figure della Chiesa. E non solo per il suo imponente fisico da rugbista. San Giovanni Paolo II lo scelse come pastore di Melbourne e poi di Sydney e poi gli impose la porpora. Benedetto XVI onorò la sua diocesi di un viaggio apostolico per la Gmg. Papa Francesco lo scelse per far parte del Consiglio di cardinali e poi lo chiamò a Roma come prefetto della Segreteria per l’economia. Ma proprio al termine del suo mandato dovette ritornare in Australia per affrontare un processo con l’accusa di aver abusato in sacrestia di due coristi. Condannato in prima istanza, in appello venne assolto – all’unanimità – dai giudici della Corte suprema federale. Nel frattempo aveva trascorso più di 400 giorni in carcere. Fatto unico per un cardinale in un Paese democratico. Questa brutta esperienza a lieto fine Pell l’ha raccontata in un Diario il cui primo volume è stato edito in Italia da Cantagalli. Lo scorso weekend l’opera è stata presentata a Pordenone nell’ambito della 15ª edizione di “Ascoltare, leggere, crescere”. L’evento si è tenuto nella cornice del Seminario vescovile che proprio quest’anno festeggia il centenario dalla fondazione.
Eminenza, come è nata l’idea di scrivere un Diario?
È raro che un cardinale venga imprigionato e quindi ho pensato che un diario sarebbe stato interessante per i lettori. E poi scrivere in prigione è una buona terapia. In tanti lo hanno fatto, cominciando da san Paolo.
Questo è il primo volume. Quanti altri ne dobbiamo attendere?
Il secondo è già uscito in inglese, il terzo è di imminente pubblicazione negli Usa e in Australia. All’editore - padre Joseph Fessio -, quando ho consegnato il testo, avevo suggerito di farne una antologia con i brani più interessanti. Ma lo ha voluto pubblicare integralmente.
Aveva mai immaginato di dover affrontare un processo del genere e di dover passare più di 400 giorni in prigione?
No, non lo immaginavo. Erano accuse francamente incredibili. Fare cose così brutte in una sacrestia dopo una Messa solenne con centinaia di fedeli. Inconcepibile, per chi frequenta abitualmente le chiese. Forse alla mia condanna in prima e seconda istanza ha contribuito il fatto che giudici e giurati non hanno mai partecipato a una Messa cattolica e credono davvero che le chiese e anche le sacrestie siano dei luoghi bui e disabitati in cui si può commettere ogni abominio…
Perché queste accuse così infamanti? Che idea si è fatto in proposito?
Credo di essere stato preso di mira per la mia difesa della tradizionale visione giudeo-cristiana su famiglia, vita, sessualità. Il fattore decisivo comunque è stata la crisi degli abusi. Purtroppo in Australia ci sono stati molti casi, molte vittime, molte sofferenze. In tanti si sono genuinamente scandalizzati per questo e per come i vescovi hanno affrontato la questione. C’era e c’è tanta furia contro la Chiesa. Dopo la prima condanna mi hanno riferito di aver sentito questo tipo di commento: è possibile, forse probabile che lui sia innocente, ma la Chiesa cattolica ha fatto tante cose malvagie ed è giusto che qualcuno di loro soffra. Purtroppo è toccato a me.
Alla fine è stato assolto. E se invece la avessero condannato?
Avrei continuato la mia vita in carcere. Pregando, mangiando e bevendo - ma non troppo -, assaporando l’ora d’aria. E magari aggiornando il Diario.
Che umanità ha incontrato in carcere?
In carcere ci sono tanti criminali, ma anche tanta umanità.
Come l’hanno trattata?
Fondamentalmente bene. Ma bisogna sempre ricordarsi che si sta in carcere e ci sono delle regole che vanno rispettate. Ci sono tante piccole umiliazioni. Ma quando si capisce e si accetta questo, si vive. Le guardie erano quasi sempre cordiali e corrette. È stato poi il direttore a convincermi a fare ricorso alla Corte suprema federale. Io ero sfiduciato ma lui mi ha convinto ad andare avanti.
Che cosa le mancava di più?
Non potevo vedere fuori e non potevo celebrare Messa.
Perché?
In carcere sono proibiti alcolici. E in Australia sono rigorosi: neanche il poco vino per l’Eucaristia è ammesso. Per fortuna c’era una buona suora, una donna forte e simpatica, che ogni settimana mi portava il Santissimo Sacramento.
Che giudizio dà del modo con cui i mass media hanno affrontato la sua vicenda?
Avevo molti amici nel mondo giornalistico. Mi hanno difeso. Ma la maggioranza mi era ostile per le mie posizioni nelle cosiddette culture wars, le battaglie culturali che segnano il mondo anglosassone. Ero un bersaglio perfetto, per loro.
Chi le è stato più vicino in questa Via Crucis?
Tanti. Mi hanno scritto migliaia di lettere. Da tutto il mondo. Molti sono venuti a visitarmi. In tanti hanno pregato per me. Non ho perso nessun amico.
Ha ricevuto la stessa solidarietà dai suoi confratelli cardinali?
Sì. E ho ricevuto messaggi da papa Francesco e dal papa emerito Benedetto. Sono molto grato per il loro sostegno.
La decisione di lasciare Roma per affrontare il processo, è stata una sua libera scelta?
Per me era l’unica via. Forse tecnicamente potevo decidere di non andare, ma questa non era una possibilità seria per un uomo che è innocente e ha a cuore la reputazione della Chiesa. L’unica via giusta era ritornare e difendermi nel processo.
Ritiene che la questione degli abusi sia il problema principale che la Chiesa deve affrontare oggi?
Nel mondo occidentale questa grande tragedia non è il problema numero uno. La questione principale è l’indebolimento della fede e il fatto che tanti giovani non credono più. Questa è la grande sfida. Accanto a questo c’è la crisi morale della famiglia e la minaccia enorme della pornografia, non solo per la Chiesa ma per tutta l’umanità.
Lei ha iniziato in Vaticano le riforme economico-finanziarie della Santa Sede. Che ricordo ha di quel periodo?
È stato un periodo interessante e difficile. Ma abbiamo fatto qualche progresso. Adesso possiamo sapere dove stanno le finanze del Vaticano. Prima era un mistero. Il problema principale era che per tanti anni il Vaticano aveva speso molto di più di quello che riceveva. Non si poteva andare avanti così.
Lei era considerato un “nemico” degli italiani nella Curia Romana…
No. Per me non c’erano differenze tra italiani o non italiani. Ma tra onesti e no.
E come vede la situazione oggi?
Sono stati fatti errori gravi, come - a mio parere - la cacciata del revisore generale Libero Milone. Ma ora, mi sembra che siamo sulla buona strada.
Fra pochi giorni entrerà nel vivo il processo che vede tra gli imputati anche il cardinale Angelo Becciu.
È un momento importante. Perché così il Vaticano può essere visto come un posto dove la legge viene rispettata. È importante comunque che ad ognuno sia garantito un giusto processo.
Come seguirà il cammino sinodale indicato da papa Francesco?
Non sono esperto in sinodalità e non vedo molti che capiscano chiaramente che cosa significhi. Lo seguirò con grande interesse.
Da australiano, come valuta l’accordo strategico del suo Paese con Stati Uniti e Regno Unito?
Sono d’accordo. Come lo sono la stragrande maggioranza dei miei concittadini e le forze politiche di governo e di opposizione. Speriamo che non succeda niente di drammatico. Ma è necessaria una maggiore collaborazione tra le democrazie in Asia e nel Pacifico per bilanciare il grande potere della Cina, che democratica non è. Questo forse in Europa non è ben compreso, ma è così.
Tra l’Australia e Roma
George Pell, 80 anni, è originario di Ballarat, nel sud dell’Australia. Si è formato a Roma dove è stato ordinato sacerdote nel 1966. Studi storici a Oxford, ha poi lavorato nella città natale anche come redattore del settimanale diocesano. Ausiliare dal 1987 e dal 1996 ordinario di Melbourne, nel 2001 è diventato arcivescovo di Sydney e nel 2003 Giovanni Paolo II lo ha creato cardinale. Nel 2008 ha ospitato Benedetto XVI per la prima Gmg in Oceania. Francesco nel 2013 lo ha nominato nel C9 e nel 2014 prefetto della Segreteria per l’economia. Giudicato colpevole di abusi nel dicembre del 2018 con una condanna a sei anni confermata in appello, ha trascorso 404 giorni in prigione, fino al 7 aprile 2020 quando è stato prosciolto dalla Corte Suprema. Il primo volume del suo "Diario di prigionia" è stato pubblicato in Italia da Cantagalli (pagine 448, euro 25). Il libro è stato presentato sabato nel Seminario vescovile di Pordenone nell’ambito della XV edizione di "Ascoltare, leggere, crescere", la storica rassegna dell’editoria religiosa promossa da Euro92 Eventi in collaborazione della Libreria editrice vaticana.