Chiesa

LE NUOVE PORPORE. Betori: «In Italia una Chiesa tra la gente»

Mimmo Muolo giovedì 16 febbraio 2012
​La porpora cardinalizia vista alla luce della Bibbia. «Un impegno di fedeltà a Cristo, alla Chiesa e al Papa, per servire meglio coloro che mi sono stati affidati». Così Giuseppe Betori considera l’ormai imminente cardinalato. E da Firenze, città in cui è da più di tre anni arcivescovo, allarga lo sguardo alla Chiesa italiana, che conosce bene per essere stato segretario generale della Cei e in precedenza sottosegretario e direttore dell’Ufficio catechistico nazionale. «Una Chiesa attiva e vitale – sottolinea – che ha molto da offrire al Paese e agli uomini e alle donne del nostro tempo».La porpora cardinalizia viene considerata, umanamente parlando, un onore. Come la considera l’uomo e l’arcivescovo Giuseppe Betori?Ho fatto una piccola ricerca biblica, dalla quale emergono due prospettive. Da un lato la porpora è sì un onore, poiché è collegata all’uso che ne facevano i re. Ma dall’altro essa è attribuita anche al sommo sacerdote e perciò la ritroviamo su Gesù nel momento della passione. È Lui il vero unico sommo sacerdote ed è vestito di una porpora che copre il sangue della flagellazione e anticipa quello della croce. Quindi è un onore che però ha il suo apice nella passione del Signore, perché solo a lui questo onore può essere attribuito. Da questo punto di vista credo che la porpora cardinalizia sia un grande richiamo a partecipare al sacrificio di Cristo. Così dobbiamo esercitare la dignità che ci viene offerta.Qual è dunque l’identikit del suo cardinale ideale?Come diceva uno dei miei predecessori sulla cattedra fiorentina, il cardinale servo di Dio Elia Dalla Costa, vorrei essere anzitutto fedele all’amore di Dio e all’amore per il prossimo concretamente nel popolo che mi è stato affidato. E tutto questo attraverso una fedeltà sempre maggiore al Santo Padre, sia come espressione della sua linea pastorale in diocesi, sia – per quello che mi sarà chiesto – come suo consigliere nei vari dicasteri della Curia romana.Cambierà qualcosa nel suo modo di fare l’arcivescovo?Nelle modalità pratiche non credo. Ma sicuramente ci sarà una motivazione in più nel portare la presenza del Santo Padre e la preoccupazione per la Chiesa universale come una costante più evidente nell’azione pastorale della Chiesa fiorentina.La porpora, come ha detto, richiama la fedeltà fino all’effusione del sangue. Recentemente lei ha subito un attentato che fortunatamente l’ha lasciata illesa, ma ha portato al ferimento del suo segretario. Come ripensa oggi a quell’episodio?Il sentimento che provo è quello di una grande compassione verso chi ha potuto pensare che si potesse aggredire un arcivescovo e quindi nella sua persona la Chiesa. Riconfermo il mio perdono nei confronti dell’autore del gesto e ringrazio il Signore che ha protetto la mia persona ed ha permesso che si salvasse anche il mio segretario.Lei diceva che la porpora rafforzerà la sua fedeltà al Papa. E il Papa in questo periodo sta insistendo sul problema della fede. Che cosa bisognerebbe fare da questo punto di vista?Il che fare è difficile da individuare e non a caso il Santo Padre ha convocato un sinodo dei vescovi, al quale parteciperò dopo l’ascolto allargato di tutte le espressioni ecclesiali della mia diocesi. In questa fase invece dobbiamo ancora lavorare per rendere tutti consapevoli della centralità di tale questione. Spesso le problematiche della Chiesa sono considerate più sotto l’aspetto della forma dell’agire, che non dal punto di vista della fede. Credo dunque che il nostro primo compito sia rendere tutti avvertiti che è qui il nocciolo del problema e che non si può sfuggire da un confronto personale e comunitario con esso. Poi potremo interrogarci su come agire.Il progetto culturale può dare un suo contributo?Non si può parlare della fede al di fuori del rapporto con la cultura. La fede, infatti, non è mai un annuncio astratto, ma si situa sempre dentro precise condizioni culturali. Perciò, la consapevolezza della sfida che tali condizioni pongono alla fede è necessaria per poter agire. Per questo il Santo Padre nel suo documento di indizione dell’Anno della fede fa riferimento al cortile dei gentili come via di dialogo tra fede e ragione.Lei diventerà cardinale insieme ad altri sei italiani. Possiamo considerarlo un ulteriore segnale di vitalità della Chiesa in Italia?Certamente. A volte ci sottostimiamo rispetto al nostro effettivo ruolo all’interno della Chiesa universale. Il "caso Italia", dal punto di vista pastorale, rappresenta quasi un unicum nel contesto dell’Occidente, proprio per la permanenza di alcuni segni di appartenenza ecclesiale. E quindi questa fede che sta nel profondo della coscienza del popolo è una ricchezza che diventa dono per la Chiesa universale. Ovviamente per noi è anche una responsabilità al fine di trarne i frutti che ne possono scaturire. E in un momento così difficile per il Paese, che cosa può offrire la Chiesa all’Italia?La Chiesa in Italia è vicina ai bisogni delle gente, specie dei più poveri. Lo dimostrano le tante realizzazioni della Caritas, il Prestito della speranza e tutte le iniziative di aiuto alle famiglie in difficoltà che sono state messe in cantiere nelle varie diocesi. La grande scoperta che ho fatto, venendo a Firenze, è stata la tradizione estremamente significativa di questa Chiesa nel campo caritativo. Qui è nato il fenomeno delle Misericordie e ogni secolo ha inventato forme nuove di carità, fino ai giorni nostri. Vorrei ricordare ad esempio la figura di don Giulio Facibeni e l’Opera Madonnina del Grappa e anche l’Istituzione Villa Lorenzi che raccoglie una sessantina di ragazzi in difficoltà in forma stabile o diurna. Per questo sono fiducioso che anche grazie a questa rete di solidarietà e di valori autentici il Paese supererà l’attuale difficile momento.Oltre che nel volontariato c’è bisogno dei cattolici in politica? E in quale forma?Sono noti e ripetuti gli appelli del Papa e del cardinale Bagnasco in questa direzione. Quanto alla forma, ritengo che ancora non sia il momento di fare scelte di modalità. Ora è importante chiarire i contenuti dell’impegno, poi emergerà anche il modo in cui far diventare tutto questo un preciso progetto politico. Ma questa scelta spetta ai laici cattolici. Come Chiesa siamo chiamati ad aiutarli ad approfondire il contenuto del bene comune per la società italiana. E in questo senso bisogna continuare sulla linea della Settimana sociale di Reggio Calabria, con la sua dell’Agenda di speranza per il Paese in cui i valori non negoziabili diventano il cuore da cui viene generato il bene comune della società.