Chiesa

Intervista. Scicluna: «Malta non apra alle adozioni gay»

Gianni Cardinale venerdì 3 gennaio 2014
La Chiesa cattolica maltese è preoccupata per la proposta di legge in discussione nel Parlamento della Valletta che equiparerebbe in tutti gli aspetti, adozioni comprese, le unioni gay con i matrimoni civili. Lo stesso papa Francesco ha manifestato la propria «tristezza» per questo sviluppo legislativo ribadendo che si tratta di un «regresso antropologico», come scrisse da arcivescovo di Buenos Aires nel 2010 in una lettera indirizzata a Justo Carbajales, direttore del Dipartimento dei laici della Conferenza episcopale argentina, che aveva organizzato una marcia contro la legge sul “matrimonio” omosessuale poi approvata dal Parlamento argentino. Lo spiega ad Avvenire Charles J. Scicluna, dal 2012 vescovo ausiliare di Malta e membro della Congregazione per la dottrina della fede, dicastero dove ha lavorato per 17 anni come promotore di giustizia (pm), ricoprendo un ruolo chiave nel contrastare il triste fenomeno degli abusi sessuali commessi da chierici verso i minorenni.Eccellenza, il Parlamento maltese sta discutendo una legge sulle unioni tra omosessuali. Era una esigenza realmente sentita dalla società maltese?In occasione dell’ultima campagna elettorale che si è svolta tra il gennaio e il febbraio del 2013, in una corsa frenetica per accaparrarsi i voti, tutti i partiti politici hanno promesso di agevolare le pretese della lobby gay e hanno promesso una legislazione a favore delle unioni civili. Dopo le elezioni di marzo 2013, vinte dai laburisti del dottor Joseph Muscat, il governo si è mosso per onorare il proprio impegno con la lobby gay. Quali sono gli aspetti qualificanti questa nuova legge?La proposta di legge, ispirata a quella danese del 1994, equipara, in tutti gli aspetti, unioni civili (eterosessuali e omosessuali) e matrimonio civile. E concede alle coppie gay di diventare genitori adottivi come coppia. Qual è la posizione della Chiesa?I vescovi hanno espresso la loro preoccupazione per la proposta di legge, riferendosi alla dottrina cattolica che è di per sé chiara, ribadendo allo stesso tempo vicinanza pastorale a tutti, incluse le persone gay. Per un parlamentare che si proclama cattolico è lecito sostenere la legge in discussione? La dottrina cattolica al riguardo si trova nel documento della Congregazione per la dottrina della fede emanato nel 2003 col titolo “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali”. In particolare nel paragrafo 10, che così si esprime: «Se tutti i fedeli sono tenuti ad opporsi al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, i politici cattolici lo sono in particolare, nella linea della responsabilità che è loro propria. In presenza di progetti di legge favorevoli alle unioni omosessuali, sono da tener presenti le seguenti indicazioni etiche. Nel caso in cui si proponga per la prima volta all’Assemblea legislativa un progetto di legge favorevole al riconoscimento legale delle unioni omosessuali, il parlamentare cattolico ha il dovere morale di esprimere chiaramente e pubblicamente il suo disaccordo e votare contro il progetto di legge. Concedere il suffragio del proprio voto ad un testo legislativo così nocivo per il bene comune della società è un atto gravemente immorale». Lei ha raccontato di aver parlato con papa Francesco di questo tema. Cosa può riferirci di questo colloquio? Parlando con il Santo Padre il 12 dicembre, ho espresso la mia preoccupazione per la proposta di legge. Il Papa si è mostrato rattristato per questo sviluppo, specialmente per la questione delle adozioni. Gli ho detto che i promotori citano le sue parole: «Se una persona è gay e cerca il Signore, e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?», ma non citano le sue parole dal 2010 quando era ancora cardinale arcivescovo di Buenos Aires. Il Papa ha ripetuto una frase presa della sua lettera del 2010: «È un regresso antropologico».