Ha celebrato Messa per i volontari, si è aggirato tra gli stand, ha assistito alle conferenze come un visitatore qualsiasi. A sera, il cardinale George Pell, primo prefetto della Segreteria vaticana per l’Economia e componente del Consiglio dei cardinali creato dal Papa per la riforma della Curia romana, ci ha rilasciato quest’intervista in cui racconta la sua giornata al Meeting e commenta le aspettative mondiali sollevate dal magistero di papa Francesco.
Dal molo di Barangaroo di Sydney a Rimini: al Meeting ha rivisto la fede gioiosa della Gmg del 2008?Sono due mondi diversi, diversamente interessanti. Qui l’accento è sulla cultura e su come si comincia a comprendere il mistero del Divino Amore, mentre la Gmg è un appello diretto alla preghiera e a Cristo. Il Meeting riflette la grande diversità delle strade che portano alla fede cristiana: Tolstoj l’ha cercata senza trovarla, Peguy vi è arrivato per una strada tortuosa, Filonenko sostiene di averla trovata attraverso la scienza. Anche i giovani arrivano alla fede quando comprendono che Dio li ama, è interessato a loro. Questo è il motivo per cui si arriva alla fede per vie diverse, perché ci si arriva quando capiamo che Cristo sta amando proprio noi, la nostra persona.
La Gmg del 2008 a Sydney ha fatto capire a molti australiani che Dio li ama, perché da allora le vocazioni sono aumentate sensibilmente…Non solo. Le Gmg sono tempi per la decisione, molti giovani in quel momento fanno la loro scelta, che può essere anche quella religiosa, ma la Gmg è anche un evento di gioia che contagia chi vive nelle periferie esistenziali: vedere migliaia di ragazzi felici di credere in Cristo è stata una salutare sorpresa per tanti australiani che non erano cattolici o non erano praticanti.
La stessa grande sorpresa che ha suscitato Francesco nel mondo. L’attesa che sta crescendo attorno al Papa è una responsabilità o una risorsa per gli uomini di Chiesa?È una grande attesa, mondiale, ma il mondo non deve fraintendere il messaggio del Santo Padre. Noi siamo cristiani, non "francescani". La nostra speranza è in Gesù Cristo ed è la forza di Francesco, una forza che viene dallo Spirito e che il Papa mette al centro della propria vita e dell’attività quotidiana, con cui offre la misericordia di Dio a tutte le periferie del mondo. Grazie alla testimonianza di papa Francesco molti hanno ripreso a pensare al messaggio cristiano, perché vedono in lui un segno di quella misericordia; ma il Papa non fa altro che insegnare quel messaggio, imitarlo e calarlo nelle cose fondamentali della vita cristiana, a partire dalla lotta tra il bene e il male che è in corso in tutte le zone di guerra, dall’Ucraina al Medio Oriente.
Quest’attesa mondiale investe anche i cardinali che, come Lei, stanno lavorando per riformare gli organismi ecclesiali. Avvertite il peso delle aspettative che si sono create?Diciamo innanzi tutto che non stiamo riformando la Chiesa e non dobbiamo ricominciare daccapo: restiamo cattolici, abbiamo duemila anni di tradizione. Certo, possiamo imparare dal mondo moderno alcune cose, come nel caso della riforma delle finanze vaticane l’osservanza delle norme internazionali e la cooperazione contro il riciclaggio; ma quella delle finanze non è una riforma complessa come si dice, anzi è molto più semplice di altre.
Ad esempio, di quella della Curia?Anche in quel caso siamo dei semplici consiglieri del Papa e comunque non siamo lì per riformare la Chiesa ma per dare dei consigli al Papa sulla riforma della Curia. Sarà lui a decidere.
Tra le attese di cui parlavamo, la più forte è quella che vorrebbe una Chiesa "povera". Cosa ne pensa?Penso che il Santo Padre sia un esempio magnifico di chi vive in povertà e che coloro che abitano le periferie del mondo capiscano che lui sta con loro. Il compito della Chiesa è aiutare - per quanto possibile - i poveri a fuggire dalla povertà, anche attraverso l’educazione, l’ospitalità, rafforzando le famiglie, le comunità parrocchiali… Questa è una parte della missione ecclesiale, importante ma non l’unica perché poi c’è la predicazione, l’educazione alla fede... In Occidente, anche queste sono priorità: stiamo assistendo da anni al declino della nostra fede, in termini di numero di credenti e di pratica religiosa, e don Giussani aveva capito che è una delle sfide moderne più importanti per la Chiesa.