Chiesa

INTERVISTA A FALABRETTI. «Vivere la fede e curare l'uomo»

Matteo Liut mercoledì 31 luglio 2013
​In Brasile i giovani italiani hanno raccolto «un forte appello a vivere una fede che non sia intimistica e chiusa in se stessa, ma che sia in grado di prendersi cura del mondo». In questo appello, secondo don Michele Falabretti, direttore del Servizio nazionale per la pastorale giovanile della Cei, sta il cuore dell’esperienza vissuta dai pellegrini che hanno preso parte alla Gmg di Rio de Janeiro.Com’è andata questa esperienza?È andata molto bene fin dalle esperienze missionarie nelle diverse diocesi del Brasile, che sono state molto intense, soprattutto grazie alla calorosa accoglienza ricevuta. È incredibile come molte persone, anche se spesso in situazioni molto vicine alla miseria, si siano fatte in quattro per far sentire a casa i nostri ragazzi. Questa accoglienza ha creato degli ottimi presupposti per permettere ai pellegrini italiani di capire che tipo di Chiesa si sono trovati davanti qui in Brasile.E che tipo di Chiesa hanno trovato?Una Chiesa sicuramente più calda nelle sue manifestazioni esteriori, con celebrazioni caratterizzate da canti, balli e movimento. Qui le persone sono più espansive e questo si riflette nel modo di vivere la religiosità, che ha radici popolari ed è profondamente legata alle devozioni. Tutte caratteristiche presenti anche nella vita liturgica delle parrocchie urbane della grande metropoli di Rio.Che tipo di esperienza hanno vissuto i giovani nei giorni della Gmg in città?Le giornate di Rio sono state davvero molto belle. La città è enorme e noi fatichiamo a comprendere la grandezza degli spazi, anche se in realtà saltano agli occhi anche le contraddizioni forti di questo luogo così complesso, dove enormi palazzi moderni convivono con le caotiche e difficili favelas, con tutte le implicazioni sociali che questo comporta. Eppure per molti aspetti questa città ha affascinato i pellegrini italiani: basti pensare alla novità di una Gmg vissuta praticamente tutta in riva al mare, dove si è radunato un numero incredibile di persone. Va aggiunto che questi giorni hanno contribuito a creare un legame speciale e forte con papa Francesco.E la pioggia non ha rovinato l’entusiasmo?Sì, la pioggia ha creato qualche difficoltà e messo alla prova i pellegrini. Ma i ragazzi sanno andare molto oltre questi ostacoli e non si sono persi d’animo. E appena è uscito il sole si sono dimenticati del tutto i disagi provocati dalla pioggia.È vero che l’accoglienza nelle famiglie ha fatto la differenza?Certo. Grazie alla generosità di molti fedeli delle parrocchie della città moltissimi giovani hanno potuto dormire in un letto e non con il sacco a pelo a terra. I nostri pellegrini sono stati accolti come amici nelle case di Rio e questo ha fatto di sicuro la differenza.Dei momenti principali della Gmg di Rio cosa ha colpito di più i ragazzi italiani?So che le celebrazioni centrali della Gmg sono piaciute molto, anche perché sono state caratterizzate da uno stile vicino alla sensibilità carioca con musiche, colori e scenografie. Anche qui gli italiani hanno apprezzato un modo particolare e diverso di vivere la fede.E tra i temi toccati dal Papa c’è qualcuno che spicca per importanza?Direi che i giovani sono rimasti colpiti da un’immagine particolare, quella dell’allenamento che il Papa ha applicato alla vita di fede. E poi tutte le parole legate alla dimensione della tenerezza, della cura, dell’accompagnamento, della condivisione delle «croci» della vita. In genere dei poveri e degli emarginati abbiamo paura e invece alla Gmg di Rio i ragazzi hanno raccolto il forte invito a prendersi cura dell’uomo, di tutti gli uomini, nella storia. L’immagine della spiaggia di Copacabana affollata ai piedi della città, infatti, secondo me è il simbolo della Chiesa che vuole rimanere in mezzo agli uomini, nei luoghi in cui essi vivono.Che percorsi di pastorale giovanile partono da Rio 2013?Percorsi tesi a spendere nella vita di tutti i giorni la ricchezza ricevuta in Brasile. Un mandato che provoca anche le comunità locali e gli adulti: spero, infatti, che i ragazzi siano in grado di far fruttare la Gmg, ma spero anche che essi trovino comunità capaci di accoglierli e accompagnarli non lasciando che la Gmg rimanga un episodio ma diventi quotidianità.<+copyright>