La riforma del Servizio sanitario nazionale è una priorità per la Chiesa italiana?Occorre stare molto attenti all’evoluzione dell’intero quadro sanitario - risponde don Carmine Arice, Direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della Cei -. I tagli da un lato e l’invecchiamento della popolazione dall’altro rendono necessario un ripensamento da parte del legislatore perché la crisi del sistema non sfugga di mano. Mi sembra importante ricordare quanto ha detto il Presidente della Cei, cardinale Bagnasco, nella prolusione all’ultimo Consiglio permanente del gennaio scorso: «Chiediamo che la politica dei tagli sia compensata e guidata dal criterio che al centro vi sia sempre la persona del paziente: quale che sia la sua età e condizione, va prioritariamente salvaguardata». È questo un criterio-guida irrinunciabile. La Chiesa non può non essere attenta alle vicende degli uomini, soprattutto alle loro fatiche, conscia che la promozione umana è inseparabile dall’evangelizzazione e la cura assistenziale e pastorale dei malati ne è un luogo privilegiato.
La crisi in atto rischia di travolgere gli ospedali religiosi? La sanità cattolica ha una storia plurisecolare e molte anime, figlie di vocazioni antiche e di carismi ancora vitali. Gli ospedali religiosi - di norma inseriti nella rete del servizio sanitario nazionale, con un preciso ruolo pubblico che si traduce nell’impegno di erogare prestazioni in convenzione, cioè gratuite per il cittadino esente o che richiedono solo il versamento del ticket - sta soffrendo le conseguenze di questa crisi e la Chiesa italiana non manca occasione per farlo presente anche alle autorità competenti. Su questo punto però vorrei essere chiaro: per ragioni storiche e sociali, nella maggior parte dei casi, i nostri ospedali classificati rispondono a una domanda di assistenza sul territorio che non troverebbe altra risposta, o perché in quella zona non esiste un altro presidio o per insufficienza quantitativa o qualitativa dell’ospedalità pubblica. Sono dunque degli ospedali "privati" non profit che svolgono un ruolo pubblico e i rimborsi delle loro prestazioni non rappresentano una "concessione" o un favoritismo, ma il pagamento del dovuto, che spesso ritarda o che la pubblica amministrazione decide di "tagliare", talvolta con effetto retroattivo. In altre parole, quando ricordiamo queste ragioni, stiamo difendendo le ragioni del cittadino, del malato e della sua famiglia e soprattutto le ragioni delle fasce di popolazione più fragili e sofferenti, che facilmente resterebbero prive di un’assistenza necessaria e, il più delle volte, anche di qualità.
San Raffaele prima e Idi poi: due casi che fanno riflettere?Sono questioni complesse delle quali talvolta non conosciamo tutti gli elementi per una corretta valutazione. Sottolineo solo che occorre una quotidiana e vigile consapevolezza di quanto sia necessario essere attenti e responsabili nella gestione di opere che, in qualche modo, sono viste come espressione della carità della comunità ecclesiale. Sappiamo infatti che le conseguenze del nostro agire, nel bene e nel male, si ripercuotono sempre su tutta la comunità cristiana e sull’opinione pubblica.
Per la Cei cosa dovrebbe cambiare nella sanità cattolica?La sanità cattolica è un tesoro prezioso da tutelare e sostenere. Occorrono però, da parte nostra alcune attenzioni. Per esempio occorre competenza e trasparenza nella gestione delle opere, nonché una chiara distinzione amministrativa tra le attività della famiglia religiosa o dell’ente e quelle destinate all’attività sanitaria. È necessaria inoltre una maggiore sinergia tra le istituzioni ecclesiali coinvolte nella cura assistenziale e sanitaria, e questo di concerto anche con le rispettive autorità ecclesiali di competenza che hanno il diritto/dovere di vigilanza, a servizio di tutta la comunità ecclesiale.
Questa sinergia è la risposta a un’emergenza economica?Non è solo un discorso economico. La soluzione di ogni crisi è possibile solo nel rispetto di valori fondamentali quali quelli ricordati dal nostro amato papa Benedetto XVI nella
Caritas in veritate: la fraternità, la gratuità e la cultura del dono. Inoltre la sinergia è importante anche e soprattutto perché non si affievolisca l’attenzione alla cura pastorale che deve permeare tutta l’azione dell’istituzione sanitaria di ispirazione cristiana. Malati, operatori sanitari, famiglie, volontari: gli ospedali e le case di cura sono luoghi privilegiati per l’evangelizzazione. In questo senso, tutta la pastorale della salute, in tutte le sue espressioni, si sente coinvolta in prima fila a dare il suo contributo alla Nuova Evangelizzazione.