Intervista. Don Marco Pozza: «Interrogati dalla Passione di Gesù»
Il progetto realizzato da don Pozza (di spalle a destra) assieme alla giornalista Tatiana Mario. Coinvolti non solo i reclusi ma anche agenti di sicurezza, familiari di vittime e di detenuti, volontari.
«Quattordici persone del mondo penitenziario ci hanno donato la loro storia. Queste meditazioni sono il tentativo di dare una visione d’insieme della ragnatela di relazioni della quale è composto un carcere».
Don Marco Pozza è il cappellano del carcere di massima sicurezza Due Palazzi di Padova. Proprio a lui, scrittore e conduttore per Tv2000 di programmi-intervista a Papa Francesco, il Pontefice ha chiesto di preparare le meditazioni per le 14 tappe della Via Crucis.
«A volte del carcere si parla solo per le persone detenute – puntualizza don Pozza - quando in realtà sono sì la ragione dell’esistenza del carcere, ma attorno al tentativo di rieducazione ruota tutto un mondo, spesso non raccontato. Quindi con la giornalista Tatiana Mario abbiamo provato con queste storie a realizzare una Via Crucis contemporanea».
Chi sono i protagonisti delle stazioni della Via Crucis?
Persone molto diverse. Tra loro ci sono cinque persone detenute, i familiari di una vittima di omicidio, la figlia di un uomo condannato all’ergastolo ostativo, un’educatrice, un magistrato di sorveglianza, la madre di un detenuto, un catechista, un frate volontario, un agente di Polizia penitenziaria, un sacerdote accusato e poi assolto definitivamente dopo otto anni.
E quando è arrivata la richiesta del Papa?
Stavo lavorando con lui al programma di Tv2000 sul Credo. Gli ho fatto leggere un testo scritto da un ragazzo del nostro carcere. Il Papa è rimasto colpito. E mi ha detto: mi piacerebbe tanto che foste voi ad aiutarmi a comporre le meditazioni della Via Crucis. In quell’istante ho percepito il sorriso di tutto il mondo che c’è dietro al carcere: finalmente abbiamo l’occasione di fare una cosa assieme, per raccontare il bene immenso che c’è.
E’ vero che avete cercato protagonisti non per forza “ortodossi” ?
Se tra due interlocutori devo sceglierne uno, preferisco chi ha un punto di vista diverso. Mi annoio a discutere dei misteri della fede coi cristiani: siamo nati tutti con una eredità in tasca. A me piace farmi sorprendere da Dio. Proponi una pagina di Vangelo e anche persone non credenti si lasciano toccare il cuore. Abbiamo cercato l’uomo là dove si trova. E sono venute fuori storie di gente diversa: cristiani, atei, musulmani. Tutti, davanti al racconto evangelico della Passione, si sono fatti una domanda: la passione di Cristo cosa dice alla passione che sto vivendo io? L’uomo è capace di sopportare la sofferenza più grande, a patto che riesca a individuarne un senso.
Questo annuncio del Papa arriva nel momento in cui i penitenziari italiani sono in rivolta.
La lettera del papa è indirizzata a Padova, Capitale europea 2020 del volontariato. Cioè a tutti i volontari. Come a dire: la vostra buona volontà mi è preziosa. E dirlo in questi giorni per me suona come l’apertura di una trattativa. Quella di Papa Francesco è l’unica voce autorevole nel mondo del carcere. Come se dicesse: la vostra sofferenza io la capisco bene, però cerchiamo un punto di contatto.
La chiusura dei colloqui e delle visite è stata solo una scintilla che ha fatto scoppiare una situazione già esplosiva?
Noi oggi ci arrabbiamo per le limitazioni al nostro movimento. Per chi sta dentro, l’unica libertà di movimento è quella del cuore e degli affetti. Quando la disperazione entra in collisione con una povertà di proposte riabilitative, nascono esplosioni violente. Non è il caso di Padova, dove i detenuti stanno dando una lezione di grande responsabilità. Poi c’è chi strumentalizza la disperazione. Non solo in carcere: nel terremoto dell’Aquila la gente piangeva, ma i costruttori brindavano. Per fortuna Papa Francesco sa leggere i segni dei tempi. E trovare le fessure per entrare nel cuore degli uomini.