Chiesa

Stati Uniti. La morte di Floyd, il sostegno di papa Francesco alla Chiesa americana

Redazione Internet giovedì 4 giugno 2020

Manifestazione antirazzista a New York

L'arcivescovo di Los Angeles e presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, monsignor José H. Gomez, ha ricevuto una telefonata da papa Francesco, in cui il Pontefice ha annunciato le sue preghiere e la sua vicinanza alla Chiesa e al popolo degli Stati Uniti in questo momento di agitazione. Lo rende noto in un comunicato la Conferenza episcopale degli Stati Uniti, rilanciato anche da VaticanMedia.

L'arcivescovo Gomez ha condiviso questa notizia con i vescovi statunitensi nella speranza che "possano consolarsi e acquisire
forza nell'incoraggiamento del Santo Padre". "Papa Francesco ha espresso la sua gratitudine ai vescovi - si legge nel comunicato - per il loro tono pastorale nella risposta della Chiesa alle manifestazioni in tutto il Paese e nelle loro dichiarazioni e azioni dopo la morte di George Floyd e ha assicurato ai vescovi le sue continue preghiere e vicinanza nei giorni e nelle settimane a venire". Dal Papa "preghiere speciali" per l'arcivescovo Bernard A. Hebda e la Chiesa locale di Saint Paul e Minneapolis.

L'arcivescovo Gomez, a nome della Conferenza episcopale, ha espresso gratitudine a Papa Francesco per "le sue forti parole
di sostegno che sono state espresse anche durante l'udienza generale di mercoledì mattina in cui ha detto che "non si può tollerare, né chiudere su qualsiasi tipo di razzismo" e, a sua volta, ha assicurato al Santo Padre le preghiere" dei vescovi Usa.

Intanto oggi migliaia di persone hanno affollato Minneapolis per la prima commemorazione funebre pubblica di George Floyd, morto dopo essere stato soffocato brutalmente a terra da quattro agenti bianchi mentre rantolava "non riesco a respirare" durante un arresto per il presunto spaccio di una banconota falsa da 20 dollari.

"Ho visto molti americani di origine ed età differenti marciare insieme e alzare la loro voce insieme, siamo ad un punto di svolta", ha detto il reverendo newyorchese Al Sharpton, noto leader nella lotta per i diritti civili, poco prima di ricordare la vittima in un discorso emozionante nel grande santuario della North Central University, presenti i famigliari e il loro avvocato.

La cerimonia arriva all'indomani della svolta nelle indagini, con la procura che ha aggravato l'imputazione per l'ex agente Derek Chauvin da omicidio colposo a omicidio volontario e ordinato l'arresto dei suoi tre colleghi accusandoli di complicità. Come chiedevano la famiglia e i manifestanti che hanno infiammato l'America. E che adesso, nonostante i 10 mila arresti eseguiti finora, continuano a scendere in piazza più pacificamente per chiedere riforme contro le iniquità razziali e gli abusi delle forze dell'ordine, mentre il Senato si appresta a votare l'abolizione della stretta al collo e la Virginia a rimuovere la statua del generale sudista Robert E. Lee. I quattro poliziotti devono comparire davanti al tribunale nelle prossime ore.

Dall'autopsia intanto è emerso che Floyd era positivo al coronavirus ma asintomatico: per crudele ironia della sorte, è sopravvissuto alla pandemia ma non è sfuggito alla brutalità della polizia.

Quello di oggi non è che il primo omaggio a Floyd, il 'gigante buono' figlio del Sud. Domani il suo corpo sarà portato a Raeford, in North Carolina, dove è nato, per una camera ardente e una cerimonia privata per la famiglia. Cerimonia analoga lunedì in Texas a Houston, dove è cresciuto e ha vissuto gran parte della sua vita prima di trasferirsi cinque anni fa in Minnesota. Il giorno dopo infine è in programma nella stessa città un funerale con 500 persone. Seguirà una cerimonia di sepoltura privata. A Houston ci sarà anche Joe Biden. La sua presenza striderà con l'assenza del presidente Donald Trump, blindato alla Casa Bianca, osteggiato dal capo del Pentagono Mark Esper sull'uso delle truppe contro i manifestanti e accusato duramente dall'ex segretario alla Difesa James Mattis in un intervento su The Atlantic. "Donald Trump è il primo presidente nella mia vita che non tenta di unire il popolo americano, neppure finge di tentare. Invece tenta di dividerci", ha scritto l'ex generale evocando una leadership "immatura" e schierandosi con i manifestanti. Mattis ha condannato l'uso dell'esercito contro le proteste, definendo "abuso di potere esecutivo" lo sgombero della folla davanti alla Casa Bianca per una "bizzarra photo-op" del commander in chief con la Bibbia. E ha invitato a "respingere e a richiamare alle loro responsabilità chi ha cariche pubbliche e deride la nostra costituzione".

Trump ha reagito stizzito su Twitter: "Probabilmente l'unica cosa che io e Barack Obama abbiamo in comune è che entrambi abbiamo avuto l'onore di licenziare Jim Mattis, il generale più sopravvalutato del mondo". In realtà Mattis è un ufficiale molto stimato, non solo nelle forze armate, e non è l'unico ex generale che critica la gestione delle proteste da parte del presidente. Anche tutti i quattro ex presidenti, da Jimmy Carter a Barack Obama, hanno voltato le spalle al tycoon, denunciando il razzismo e schierandosi con i dimostranti. Ed oggi pure la senatrice Lisa Murkovski ha detto di condividere le parole di Mattis: "Penso che siano vere, oneste, necessarie e tardive", ha osservato, lasciando intendere che potrebbe non sostenere la rielezione di Trump.