Coronavirus. Don Battaglia: «Il vitello d'oro ha tradito. La Chiesa resta con l'uomo»
Il vescovo Battaglia
È una lettera pastorale intensa, anche dura e ruvida, quella di don Mimmo Battaglia, vescovo di Cerreto Sannita – Telese – Sant’Agata de’ Goti, diocesi dell’entroterra sannita. Scritta di getto in una situazione, l’emergenza Covid-19, che «ha messo a nudo la fragilità di questo nostro mondo, l’inconsistenza di ciò in cui pensavamo di aver trovato la chiave risolutiva di tutti i nostri problemi, la gracilità di quell’economia, che sia a livello locale, sia a livello globale, è stata ritenuta l’unica meta ed è stata vista e osannata come l’unica via, che al di fuori di ogni regola, porta l’umanità verso la felicità sulla terra».
Tre i riferimenti biblici presi da don Battaglia. Il primo, dal libro di Daniele, racconta di tre giovani che non si prostrano alla statua d’oro di Re Nabucodonosor e perciò vengono gettati nella fornace ardente, dalla quale Dio li libera. La statua d’oro, spiega il vescovo della diocesi sannita, è «un capitalismo selvaggio, che ha pensato solo ai profitti, causato guerre per vendere armi, lasciato morire i poveri nell’indifferenza, ha respinto i più disperati in cerca di pane, erigendo muri contro di loro e armando le navi dei guardacoste, ha criminalizzato i loro soccorritori, ha fatto scrivere editoriali, giorno dopo giorno, contro chi li di difendeva (incluso Papa Francesco), ha predicato odio continuo contro i “diversi”, ha reclamato uomini forti, come gli unici che avrebbero potuto salvare le nazioni. Alcuni uomini forti – continua Battaglia - sono effettivamente venuti, ma l’umanità non è stata salvata.
Al contrario è precipitata nell’insicurezza e nell’angoscia. L’insicurezza per il proprio futuro e quello dei propri figli, l’angoscia di chi ha visto tagliare ogni anno, mese dopo mese, il bilancio della sanità pubblica, quello della spesa sociale a svantaggio dei più poveri, persino dei portatori di handicap e di quanti nel capitalismo finanziario senza regole non possono permettersi né azioni, né titoli e nemmeno carte di credito, sebbene per pochi spiccioli».
E adesso, prosegue il vescovo, «tutti in esilio a casa propria, anche i manager e i detentori delle grandi finanziarie internazionali, quelle che vedono oggi morire migliaia di uomini e pur tremando per il futuro dei propri profitti, non vogliono allargare i cordoni della borsa. Non lo sanno fare: hanno finora vissuto solo per se stessi e per il loro denaro. La statua d’oro è preziosa ma dura e insensibile come il loro cuore».
La seconda icona biblica è la scena di Gesù nelle braccia di Simeone di fronte a Maria e Giuseppe, con Simeone che annuncia alla santa coppia quale sia la missione di sangue e verità di Gesù. Per Battaglia, una scena che richiama lo «smascheramento» di questi giorni. Come Gesù ha fatto cadere la maschera degli uomini del suo tempo e continua oggi a far cadere maschere, «la crisi globale dovuta al Covid-19 ha fatto cadere tante maschere. Sta mostrando la vera faccia degli uomini, a qualsiasi livello: la generosità e il senso di responsabilità di persone come medici e infermieri, la disponibilità di altri a mettere in discussione tutto e l’indisponibilità di altri, il loro attaccamento non tanto alla poltrona, ma a un mondo che in un solo mese è radicalmente cambiato».
E tra gli svelamenti di questo tempo, il compito e la presenza della Chiesa. «Per chi sa leggere la realtà con gli occhi della fede, questo tempo ha mostrato anche la partecipazione della Chiesa e di noi uomini e donne di Chiesa al comune destino dell’umanità. Le nostre chiese vuote di assemblee sembrano a tratti colme della presenza della Chiesa invisibile. Davvero, anche la fede e la percezione di fede mai come adesso possono venire fuori dalla profondità nella quale forse si erano perse, oppure emergere dalla superficialità delle celebrazioni divenute abitudinarie e rituali».
La terza icona di Battaglia, la morte a Roma di Pietro e Paolo, attesa da entrambi per poter partecipare alla Resurrezione di Gesù. «Soprattutto adesso è tempo di credere ancora più profondamente nella forza trainante della Risurrezione di Gesù. Così come egli è morto a nostro favore, per noi tutti, è ugualmente risorto non solo per sé, ma per noi». E «Maria è l’icona di questo amore che va oltre la soglia sopportabile del dolore. La varca e la supera perché ha un amore sconfinato».